Cosa si intende per matrimonio putativo?
Il matrimonio putativo ricorre in presenza di una causa d’invalidità dell’atto matrimoniale, non conosciuta dai coniugi o da uno di essi, che giustifica una diversa disciplina in relazione all’annullamento. Vediamo come funziona.
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1. Il matrimonio putativo
L’istituto del matrimonio si fonda su degli elementi assoluti e relativi (art. 143 c.c.), i quali possono determinare due diverse conseguenze: la nullità e l’annullamento (art. 117 ss. c.c.).
Vi è poi il caso del matrimonio putativo, il quale viene contratto pur essendo nullo o per via che entrambi i coniugi erano in malafede al momento della celebrazione o uno dei due è stato ingannato (art. 128 c.c.).
Descrivendo la possibilità del matrimonio contratto da entrambi i coniugi in malafede, quindi consapevoli dell’invalidità dello stesso, il matrimonio è come se non fosse mai stato celebrato, tuttavia gli effetti del matrimonio valido saranno riconosciuti soltanto nei confronti dei figli nati o concepiti durante il matrimonio fatta eccezione per l’ipotesi in cui la nullità dipendi da incesto.
Nel caso in cui il matrimonio venga contratto in buona fede (quindi non si sapevano le cause di nullità) o nel caso di violenza, o di timore della manifestazione di un evento grave da uno o da entrambi i coniugi, gli effetti del matrimonio valido si producono fino alla sentenza di nullità nei confronti del soggetto o soggetti che erano in buona fede.
Inoltre la legge tutela i figli nati o concepiti durante o prima del matrimonio, l’importante è che siano stati riconosciuti, gli effetti del matrimonio rimangono per essi, riconoscendo per i figli un assegno di mantenimento o alimentare fino a quando non avranno raggiunto l'indipendenza economica.
2. Diritti del coniuge e la responsabilità del coniuge in malafede
In questo istituto, nel caso in cui i coniugi erano in buona fede, ed inconsapevoli della causa di nullità o di irregolarità del matrimonio, o il consenso sia stato estorto con violenza o per cause esterne, l’autorità giudiziaria può determinare nei confronti della parte più debole un assegno di mantenimento per un periodo massimo di tre anni.
Mentre qualora un solo coniuge era in buona fede al momento del fatidico sì, allora interviene il legislatore a dare una tutela alla parte più debole, riconoscendo la possibilità di essergli riconosciuta un’indennità, l’importo non può superare i tre anni di mantenimento, e un assegno per alimenti.
Quanto all'altra proposta con la quale si vorrebbe stabilire un obbligo alimentare a carico del coniuge di mala fede si deve rilevare che l'obbligo alimentare presuppone necessariamente l'esistenza del vincolo coniugale che deve invece ritenersi cessato con la sentenza di annullamento.
Angelica Sonia Cosi
Fonti normative
art. 143 c.c.
art. 117 ss. c.c.
art. 128 c.c.
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