Convivenza di fatto: cos'è e come funziona
La convivenza di fatto è rappresentata dalla scelta di due persone maggiorenni legate da un rapporto affettivo di risiedere nella stessa abitazione, potendo sottoscrivere un contratto che ne disciplini il rapporto medesimo. Vediamo come funziona.
1. La convivenza di fatto
L’argomento che tratteremo oggi, riguarda il tema del diritto di famiglia e, più precisamente, la disciplina relativa alla convivenza di fatto, regolamentata dalla legge n.76 del 2016 (Lg. Cirinnà).
La convivenza di fatto è costituita dalla coabitazione stabile e duratura nella stessa dimora di due soggetti maggiori d’età, che siano legati da un rapporto di coppia e di sostegno sia morale che materiale (inteso come impegno al rispetto reciproco e al soddisfacimento delle esigenze familiari). Inoltre, è necessario che tra i due non intercorra alcun legame di parentela, affinità o adozione e che non siano uniti in matrimonio o in una unione civile.
La legge Cirinnà disciplina i diritti e doveri riconosciuti ai conviventi di fatto, i quali vengono in rilievo con la costituzione tra loro di una stabile convivenza di coppia, prevedendo inoltre che l’accertamento in ordine all’instaurata convivenza abbia luogo sulla base della dichiarazione anagrafica di costituzione o modifica della convivenza medesima trasmessa al comune di residenza.
I diritti riconosciuti alla convivenza di fatto sono molteplici e sono:
- il diritto di visita all’altro convivente nei penitenziari nonché nelle strutture ospedaliere con possibilità di assistenza ed accesso alle sue informazioni;
- nomina di rappresentanza per iscritto. Con essa il partner nomina l’altro come suo rappresentante nei casi di malattia che importi l’incapacità d’agire o in caso di morte sulla scelta di donazione degli organi e di celebrazione delle esequie.
La nomina può avvenire oralmente, qualora il convivente sia impossibilitato a redigere il documento, con la presenza di un testimone;
- il diritto del convivente di permanere nella casa adibita alla convivenza. Questo, in caso di morte dell’altro convivente che ne sia l’unico proprietario per due anni o fino ad un massimo di cinque anni, nell’ipotesi di convivenza di durata superiore al biennio.
Il periodo di permanenza è esteso a tre anni qualora siano presenti nella casa familiare figli del convivente, minori o affetti da disabilità.
Tale diritto, viene meno qualora il convivente rimasto, si trasferisca altrove, si unisca in matrimonio o in unione civile o, ancora, costituisca una nuova convivenza di fatto;
- il diritto del convivente di succedere nel contratto di locazione qualora sopravvenga la morte dell’altro convivente-conduttore o il suo recesso dal contratto;
- il diritto del convivente ad ottenere una parte degli utili qualora presti la propria attività lavorativa all’interno dell’impresa familiare, salvo che l’attività sia svolta in maniera subordinata ovvero sulla base di un rapporto societario;
- la possibilità per il convivente di diventare tutore, curatore o amministratore di sostegno dell’altro convivente, nei casi di interdizione o inabilitazione;
- il diritto del convivente ad ottenere il risarcimento dei danni qualora la scomparsa del partner sia dovuta al fatto illecito di terzi;
- il diritto del convivente al termine della convivenza di ottenere gli alimenti dall’altro convivente qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di auto-sostenersi.
L’importo dell’assegno alimentare è deciso dal giudice, valutando lo stato di bisogno del richiedente e le condizioni economiche dell’obbligato, per un periodo rapportato alla durata della convivenza.
2. Il contratto di convivenza
La Legge Cirinnà, prevede la possibilità per i conviventi di fatto di stipulare un contratto di convivenza, che disciplini i loro rapporti patrimoniali per atto pubblico o scrittura privata, autenticata da un notaio o da un avvocato, pena in caso contrario la nullità dell’atto.
Il notaio o l’avvocato, hanno l’onere di trasmettere entro dieci giorni la copia del contratto al comune di residenza dei conviventi, al fine di essere iscritto nell’anagrafe e renderlo in tal modo inopponibile a terzi.
Attraverso il contratto di convivenza, i due conviventi possono stabilire:
- la residenza della coppia;
- l’apporto di ognuno di essi per far fronte alle esigenze familiari in relazione alle loro condizioni economiche ed alle capacità lavorative e casalinghe;
- il regime della comunione dei beni, scelta modificabile in ogni momento.
Il contratto di convivenza è nullo in presenza di alcune cause giustificative, che possono essere fatte valere da chiunque ne abbia interesse tra le quali:
- la sussistenza di un rapporto di matrimonio o di unione civile o, ancora, di altra convivenza di fatto;
- quando manchi la stabile convivenza tra la coppia o tra i due conviventi intercorra un rapporto di parentela, affinità o adozione;
- se uno dei conviventi è minorenne o dichiarato dal giudice interdetto;
- in caso di condanna di uno dei conviventi per omicidio o tentato omicidio dell’ex coniuge dell’altro convivente.
Il contratto di convivenza inoltre, può essere dichiarato risolto sulla base:
- dell’accordo per atto pubblico o scrittura privata autenticata dei due conviventi medesimi o di recesso di uno di essi;
- qualora i due conviventi o uno di essi, siano legati da matrimonio o unione civile;
- nell’ipotesi di scomparsa di uno dei conviventi.
La risoluzione del contratto di convivenza determina lo scioglimento del regime della comunione dei beni.
Nell’ipotesi di recesso di uno dei conviventi, ove l’immobile appartenga esclusivamente a quest’ultimo, l’atto a pena di nullità, deve prevedere il termine minimo di novanta giorni concesso all’altro convivente per lasciare l’immobile.
3. I figli nati fuori dal matrimonio
I figli nati da coppie conviventi, hanno gli stessi diritti riconosciuti a quelli nati da un matrimonio.
Infatti, la legge n. 219 del 2012, ha eliminato ogni differenza di status tra figli legittimi e naturali, facendo venir meno in tal modo ogni disparità di trattamento prevista, sancendo che tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico.
La convivenza con figli nati fuori dal matrimonio, determina pertanto per i genitori conviventi gli stessi obblighi che avrebbero verso la prole in caso di matrimonio, dovendo provvedere all’educazione, istruzione e mantenimento dei loro figli, tenendo conto sia delle condizioni economiche di ognuno dei genitori sia delle capacità lavorative e casalinghe.
Fonti normative
Legge 20 maggio 2016, n. 76
Legge 10 dicembre 2012, n. 219
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