Licenziare un lavoratore con contratto a tempo indeterminato

La tipologia di contratto a tempo indeterminato era in passato l’obiettivo professionale ed il fine ultimo che molti lavoratori cercavano di raggiungere all’interno della propria azienda.

Nel corso del tempo, in particolare negli ultimi anni, questa tipologia contrattuale si è svuotata di gran parte del suo significato. Ciò è accaduto per diversi motivi, alcuni dipendenti dall’evoluzione che il mercato del lavoro ha avuto entrando nel XXI secolo, altri che derivano dal varo di leggi che hanno reso il licenziamento di un lavoratore con contratto a tempo indeterminato una fattispecie molto meno complessa rispetto al passato.

1. La definizione del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato

Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato è quel contratto con cui un soggetto (il lavoratore) si impegna, senza vincolo di durata – dietro versamento di una retribuzione - a prestare la propria attività lavorativa sottoponendosi al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del proprio datore di lavoro.

È la figura tipica del contratto di lavoro subordinato. Già con la Legge 230/1962 (che disciplinava il rapporto di lavoro a tempo determinato) il legislatore ha espresso il concetto che il contratto di lavoro subordinato di regola si intende a tempo indeterminato.

Con l’introduzione della riforma del contratto a termine, che ha esteso le maglie di applicazione di questo istituto, abrogando la precedente disciplina, una parte della dottrina ha sostenuto che il ruolo di centralità del contratto a tempo indeterminato fosse ormai superato in favore del contratto a termine. Questo dubbio è stato risolto dallo stesso legislatore, il quale nel 2007 ha introdotto, all’articolo 1 D. Lgs. 368/2001, il comma 1, il quale ribadisce in modo esplicito che «il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato».

Come richiamato dal nomen iuris dell’istituto, caratteristica principale di questo tipo di contratto è quello di non avere una scadenza. Per la conclusione del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato vige il principio della libertà di forma. Ciò significa che è possibile la conclusione anche per fatti concludenti o in forma orale. In alcuni casi particolari, però, il legislatore stesso ha previsto la forma scritta a pena di nullità, quali ad esempio il contratto di lavoro del personale navigante (art. 328 cod. nav.) e il contratto di lavoro sportivo (Legge 91/1981).

Nel caso in cui le parti intendano inserire nel contratto a tempo indeterminato degli elementi accessori, questi devono risultare da atto scritto. Ci si riferisce, ad eempio, al patto di prova - che richiede la forma scritta ad substantiam (arg. ex art. 2096 c.c.), alla ipotesi in cui la prestazione di lavoro sia a tempo parziale (forma scritta ad probationem, art. 2, d. lgs. 61/2000), ovvero alla previsione del patto di non concorrenza per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro (forma scritta ad substantiam, art. 2125 c.c.).

In ogni caso, una volta concluso il contratto di lavoro a tempo indeterminato, il datore di lavoro è tenuto a fornire, per iscritto, al lavoratore assunto tutte le informazioni relative al rapporto. Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ha un duplice oggetto: l’attività lavorativa economicamente utile e la retribuzione. L’oggetto della prestazione lavorativa deve essere determinata o determinabile, oltre che lecita e possibile.

Per quanto attiene la retribuzione, se questa non è determinata al momento della conclusione del contratto, può essere determinata (o rideterminata, nel caso in cui non sia equa e sufficiente in relazione alla quantità e qualità del lavoro reso, come previsto dall’articolo 36 Costituzione) dal Giudiece del Lavoro, il quale opera avendo a riferimento la misura (minima, inderogabile in pejus) determinata dal Contratto Collettivo Nazionale di Categoria.

Come per tutte le tipologie di contratto di lavoro subordinato, la causa è rappresentata dalla scambio di una prestazione lavorativa contro un corrispettivo: il lavoratore si impegna a prestare la propria attività a favore del datore di lavoro il quale è tenuto a corrispondergli la retribuzione. La causa del contratto – ovviamente - deve essere lecita. Come visto, la caratteristica tipica di questo contratto è quella di non avere un termine di durata, perciò, perché questo si risolva, è necessario un atto esplicito di recesso. A differenza di quando si conclude, il recesso dal contratto deve avvenire con la forma scritta (nel caso di dimissioni la forma scritta sovente è richiesta dai CCNL).

2. Le modalità di recesso si differenziano a seconda di chi sia il soggetto recedente

1. il datore di lavoro, per poter legittimamente recedere dal contratto a tempo indeterminato (licenziamento) deve dimostrare la sussistenza di una giusta causa, di un giustificato motivo oggettivo o di un giustificato motivo (art. 1, Legge 604/1966), ovvero il licenziamento deve avvenire al termine di una procedura per la ruduzione del personale (art. 24 Legge 223/1991);

2. il lavoratore, invece, diversamente dal caso di conclusione di un contratto a termine è libero di recedere dal contratto a tempo indeterminato (dimissioni) nel senso, cioè, che non deve addurre alcuna motivazione.

Ai sensi dell’articolo 2118 c.c., chi intende recedere da un contratto a tempo indeterminato (quindi sia per il licenziamento che per le dimissioni) deve garantire alla controparte contrattuale un preavviso (la cui durata è stabilita dal CCNL applicabile al caso di specie). In caso di mancato rispetto del termine di preavviso, questo può essere sostituito dal versamento di un’apposita indennità.

Non è necessario alcun preavviso nel caso in cui il recesso sia sorretto da una giusta causa (art. 2119 c.c.): in tal caso è il recedente ad aver diritto al versamento della indennità sostitutiva del preavviso. È in ogni caso possibile anche una risoluzione consensuale del rapporto a tempo indeterminato.

Anche se formalmente viene stipulato un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, di lavoro somministrato, di lavoro coordinato e continuativo a progetto (co.co.pro.) o di lavoro autonomo, ciò non significa che questo non nasconda un contratto a tempo indeterminato. È - infatti - necessario verificare caso per caso la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto che permettono la conclusione di un contratto di lavoro diverso da quello generale.

È possibile – dall’accertamento concreto – che il contratto venga trasformato (a seguito di esplicita domanda al Giudice del Lavoro) a tempo indeterminato.

Capita sovente, ad esempio, che vengano conclusi contratti di lavoro a termine senza la specificazione delle ragioni giustificatrici ovvero senza il rispetto delle forme prescritte: in questo caso il lavoratore può chiedere al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro, l’accertamento del proprio diritto ad essere titolare di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

3. Licenziamento disciplinare

Il licenziamento disciplinare costituisce la prima possibilità per licenziare un lavoratore a tempo indeterminato. Questa tipologia, a propria volta, si può dividere in licenziamento per giusta causa o licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

Il licenziamento per giusta causa è l’opzione peggiore, la più grave. È un vero e proprio licenziamento in tronco, su due piedi, senza l’indennità di mancato preavviso, anche perché in questo caso il preavviso non è nemmeno necessario. Il rapporto di lavoro viene infatti interrotto con effetto immediato non appena il dipendente sotto accusa riceve la lettera in cui l’azienda gli comunica la propria decisione definitiva. Naturalmente, affinché questa circostanza si verifichi, deve accadere un fatto molto grave, come un’aggressione ai danni del proprio capo o di un collega, o un qualche genere di evento che possa mettere a repentaglio la sicurezza e l’incolumità di altre persone sul posto di lavoro.

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è anch’esso conseguenza di un avvenimento abbastanza serio da provocare il licenziamento del lavoratore, ma comunque non tanto grave da causare un’interruzione immediata del rapporto. Infatti è previsto il periodo di preavviso, in cui la persona raggiunta dal provvedimento può comunque lavorare e venire retribuita normalmente. Se l’azienda rinuncia al preavviso, sarà tenuta a corrispondere al lavoratore un’indennità sostitutiva (ciò vale anche a parti invertite, qualora sia invece il lavoratore a non rispettare il preavviso stesso).

In entrambi i casi inerenti al licenziamento disciplinare, infine, il dipendente coinvolto può presentare un ricorso che, se vinto, porta obbligatoriamente l’azienda a reintegrarlo al proprio posto di lavoro.

4. Licenziamento legato alla struttura aziendale

La seconda opzione, che può portare alla conclusione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, è costituita dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Quest’ultimo dipende dalla situazione societaria dell’azienda, la quale può licenziare un proprio dipendente al fine di affrontare una particolare situazione di crisi, oppure per via di un riassetto della propria struttura interna, come la chiusura di un settore poco remunerativo o l’acquisto di tecnologie che rendono il lavoro del lavoratore in questione inutile e obsoleto.

Quando si verifica una tale fattispecie, il Giudice, pur non potendo entrare nel merito delle decisioni del datore di lavoro, può comunque sincerarsi che il licenziamento sia davvero avvenuto per le questioni di cui sopra e che non si tratti invece di un falso motivo oggettivo, con il dipendente che viene licenziato e sostituito successivamente da un’altra persona che ricopre lo stesso ruolo professionale. Perché si possa parlare di giustificato motivo oggettivo, infatti, un’azienda deve dimostrare di avere eseguito un licenziamento necessario, vale a dire un licenziamento senza il quale l’azienda stessa si troverebbe ad affrontare una difficile situazione da un punto di vista economico, o comunque non potrebbe sfruttare le proprie risorse nel miglior modo possibile. Inoltre il lavoratore ha diritto ad una proposta di ripescaggio, cioè la possibilità di restare all’interno dell’azienda andando a ricoprire un ruolo diverso, anche di livello inferiore a quello che svolgeva precedentemente.

Il problema del licenziamento legato alla struttura aziendale è che le decisioni del Giudice su quanto un licenziamento sia lecito oppure no dipendono dall’interpretazione che quest’ultimo può dare in merito alla definizione stessa di “ristrutturazione aziendale”. In passato la giurisprudenza aveva dimostrato una maggiore tutela nei confronti dei lavoratori. Dopo l’entrata in vigore del Jobs Act nel 2015 e la conseguente delegittimazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, tuttavia, le decisioni hanno favorito maggiormente i datori di lavoro. Così, ad esempio, sono stati giustificati dei licenziamenti avvenuti non perché l’azienda in questione si trovasse in situazione di grave crisi economica, ma perché il datore cercava di liberarsi di dipendenti definiti “pesi morti” allo scopo di massimizzare i profitti. La Cassazione ha ritenuto che questo comportamento fosse comunque corretto, poiché rientrava nei diritti di un’azienda di gestire i propri fattori produttivi nel modo più efficiente possibile.

In caso infine di licenziamento senza giustificato motivo oggettivo, il lavoratore ha diritto a ricevere un compenso che ammonta a due mesi di stipendio per ogni anno trascorso all’interno dell’azienda, più un’indennità tra i 4 ed i 6 mesi per le aziende con meno di quindici dipendenti e tra i 12 ed i 24 mesi per quelle con oltre quindici dipendenti.

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5. Fonti normative

  • Jobs Act, D. lgs. 23/2015
  • Cassazione, 23620/2015

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