Licenziamento illegittimo: quale tutela per il lavoratore?
Qualora un lavoratore abbia subìto dei danni per un licenziamento illegittimo, può ottenere il risarcimento mediante l’impugnazione.
- Indennità risarcitoria e reintegro nel posto di lavoro
- Differenza tra il licenziamento illegittimo e il licenziamento legittimo
- Il licenziamento illegittimo
- Che cosa può fare il lavoratore?
- Come si impugna?
- Che cosa ottiene in concreto il lavoratore che sia stato illegittimamente licenziato?
- Giurisprudenza rilevante in questi casi
- Fonti normative
1. Indennità risarcitoria e reintegro nel posto di lavoro
Il lavoratore, a seguito di un licenziamento illegittimo, deve impugnarlo prima stragiudizialmente e poi, dinanzi al giudice, per ricevere la tutela che si realizza o attraverso il pagamento da parte del datore di lavoro di una indennità a titolo di risarcimento, per la perdita economica derivante dalla mancata entrata dello stipendio, a partire da quando il lavoratore sia stato ingiustamente licenziato, o anche attraverso il reintegro nel posto di lavoro, fermo restando il risarcimento per tutto quanto non percepito dalla comunicazione di licenziamento all’effettivo reintegro.
Deve però operarsi un distinguo a seconda del momento in cui sia stato stipulato il contratto. Infatti a partire da uno dei decreti che ha attuato il cd. Jobs Act, cioè la recente riforma del mercato del lavoro, il reintegro non è più possibile per i contratti stipulati dopo il 7 marzo 2015.
Ulteriore distinguo per capire se un lavoratore possa essere reintegrato o meno nel suo posto di lavoro deve operarsi in base al motivo per cui un licenziamento sia stato dichiarato illegittimo.
2. Che differenza c’è tra il licenziamento illegittimo e il licenziamento legittimo?
Per licenziamento si intende l’atto con cui il datore di lavoro unilateralmente pone fine al rapporto di lavoro. Se poi è il lavoratore a scegliere di recedere, l’atto prende il nome di dimissioni.
La legge stabilisce i casi in cui il licenziamento si può considerare legittimo:
- licenziamento per giusta causa.
Si tratta di un’ipotesi ampia, nella quale rientrano in astratto tutti quei casi in cui il lavoratore abbia avuto un comportamento tanto grave da non potersi più ritenere possibile la prosecuzione del rapporto di lavoro.
- licenziamento per giustificato motivo (oggettivo e soggettivo).
Quando si parla di licenziamento per giustificato motivo si deve effettuare una distinzione. Esiste infatti il giustificato motivo soggettivo, nel quale rientrano quelle ipotesi in cui il lavoratore abbia avuto un comportamento scorretto, ma non grave come nel caso del licenziamento per giusta causa. Nel caso di licenziamento per giusta causa, la gravità del comportamento del lavoratore reca la conseguenza che non è dovuto preavviso, interrompendosi il rapporto di lavoro a partire dal giorno successivo al ha ricevuto la comunicazione, nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo il lavoratore ha diritto a ricevere un preavviso: pertanto e continuerà a lavorare per tutto il periodo del preavviso, o in alternativa ha diritto ad una commisurata indennità.
Accanto al giusitificato motivo soggettivo, vi è il giustificato motivo oggettivo, nel caso in cui vi sia una necessità di riordino aziendale, una crisi dell’azienda, fino all’ipotesi estrema del caso del fallimento. In quest’ultimo caso ci potrebbe però essere l’ipotesi in cui il giudice fallimentare decida di accordare l’esercizio provvisorio dell’azienda fallita, ordinando quindi la prosecuzione di tutti i rapporti di lavoro esistenti.
Nel nostro ordinamento, il licenziamento illegittimo si ha tutte le volte in cui il datore di lavoro abbia licenziato il lavoratore senza che vi sia stata una giusta causa o un giustificato motivo.
Il datore di lavoro è tenuto a formalizzare il licenziamento con una comunicazione al lavoratore nella quale si deve indicare anche la giusta causa o il giustificato motivo oggettivo e soggettivo che lo ha determinato a scegliere per la cessazione del rapporto di lavoro.
3. Il licenziamento illegittimo
Il licenziamento dunque è illegittimo o invalido quando:
- non ci sia giusta causa o giustificato motivo oggettivo o soggettivo
- la comunicazione di licenziamento sia avvenuta in forma orale e non scritta
- il licenziamento sia contrario alle disposizioni di legge
- il licenziamento sia avvenuto per motivi discriminatori
3.1 Che cosa può fare il lavoratore in caso di licenziamento illegittimo?
In mancanza di giusta causa o giustificato motivo oggettivo o soggettivo, si ha licenziamento illegittimo.
In questo caso la legge prevede la tutela del lavoratore che impugni il licenziamento, affinchè venga risarcito per aver subìto un danno da licenziamento illegittimo.
3.2. Come si impugna il licenziamento illegittimo?
Il lavoratore che ritenga di essre stato illegittimamente licenziato può impugnare il licenziamento, entro un tempo perentorio stabilito dalla legge.
Il termine da rispettare è di
- 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, entro cui deve sempre avvenire la contestazione o la impugnazione stragiudiziale;
- 180 giorni dal momento in cui è stato impugnato stragiudizialmente il licenziamento: tempo entro cui deve essre depositato il ricorso giudiziale.
4. Che cosa ottiene in concreto il lavoratore che sia stato illegittimamente licenziato?
Bisogna distinguere a seconda che il lavoratore sia stato assunto con un contratto a tempo indeterminato prima o dopo del 7 marzo 2015.
- Lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015
Per il lavoratore che risulta assunto con un contratto a tempo indetermeniato prima di questa data, è possibile che il risarcimento per il danno da licenziamento illegittimo sia ristorato attraverso l’indennizzo, ma anche attraverso il reintegro, cioè attraverso l’inserimento nuovamente nell’organico aziendale, con il pagamento di tutto quanto dovuto per il periodo in cui a causa del provvedimento non valido del datore di lavoro era stato allontanato dall’azienda.
- Lavoratore assunto dopo il 7 marzo 2015
Per il lavoratore che ha iniziato il suo rapporto di lavoro dopo questa data, non è più prevista la possibilità di risarcimento attraverso il reintegro.
Resta però sempre valido il diritto a ricevere un indennizzo che deve essere commisurato alle mansioni svolte, e quindi alle mensilità che avrebbe percepito se non fosse stato licenziato, e all’anzianità di servizio. Questa modalità di calcolo dell’indennità dovuta viene definita regime “a tutele crescenti”, poichè verranno riconosciute un numero di mensilità maggiore in rapporto al maggiore periodio di anzianità di servizio, partendo da un minimo di 4 mensilità fino ad un massimo di 24 mensilità.
L’anzianità deve essere calcolata fino alla data in cui è avvenuto il licenziamento. Quest’ultimo aspetto è importante sottolinearlo, perchè comporta la conseguenza per nulla trascurabile che, sebbene l’indennità sia rapportata matematicamente all’ammontare delle mensilità percepite secondo il contratto dal lavoratore, il suo valore non può però essere calcolato ai fini contribuzione previdenziale.
In definitiva la riforma ha inciso sulle tutele del lavoratore illegittimamente licenziato, prevedendo un diverso modo di calcolare l’indennità risarcitoria, ed eliminando l’ipotesi di reintegro nel posto di lavoro.
La tutela reintegratoria resta un rimedio ancora applicabile nei seguenti casi:
- licenziamento discriminatorio, che si ha quando il datore di lavoro abbia licenziato il lavoratore per motivi politici, religiosi, razziali, di lingua, di sesso, o perchè questi abbia aderito o meno ad un’associazione sindacale
- licenziamento nullo per disposizione di legge (come ad esempio il licenziamento a causa di matrimonio, o nel caso della lavoratrice madre)
- licenziamento invalido perchè dichiarato nella forma sbagliata, ovvero in forma orale e non scritta.
- licenziamento la cui illegittimità dal fatto che il motivo consista nella disabilità fisica o psichica del lavoratore
- licenziamento derivante da un fatto materiale contestato al lavoratore che poi si dimostri essere inesistente o insussistente.
4.1 Giurisprudenza rilevante nell’ambito dei casi di licenziamento illegittimo.
Tra le sentenze rilevanti della giurisprudenza se ne segnalano due di particolare interesse.
- Il caso del danno all’immagine
La legge sul licenziamento prevede l’indennità risarcitoria per i danni da licenziamento illegittimo che derivino principalmente dal pregiudizio economico subìto dal lavoratore che, per il fatto ingiusto del licenziamento non corretto, si trova a non percepire più lo stipendio.
La legge non dice nulla rispetto all’eventuale danno di natura non patrimoniale che possa derivare al lavoratore, come ad esempio il danno all’immagine, qualora venga contestato un fatto che sia in qualche modo ingiurioso, e che possa incidere sulla reputazione personale e professionale, quando il fatto si rivela essere mai accaduto.
E’ il caso di una lavoratrice che era stata accusata di aver falsificato una copia del contratto di lavoro.
La giurisprudenza le ha riconosciuto alla lavoratrice anche il risarcimento derivante dal danno morale per essere stata accusata di un fatto ingiurioso non commesso.
- Il caso del licenziamento per inefficienza
Se è vero che la legge prevede l’obbligo di una giusta causa, o un giustificato motivo, è vero anche che spetta alla giurisprudenza occuparsi dei casi in concreto di licenziamento illegittimo, o delle ipotesi in cui i motivi siano davvero giustificati e giustificabili.
La Cassazione ha considerato legittima l’ipotesi di licenziamento di un lavoratore, avvenuto con la motivazione dell’inefficienza, poichè il lavoratore, a seguito delle continue assenze per malattia, aveva anche uno scarso rendimento: in questa ipotesi secondo il giudice il lavoratore viola la cd. diligente collaborazione fondamento del rapporto di lavoro.
Fonti normative
- 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori)
- D.lgs. 23 marzo 2015 n. 23
- Cass. Sent. n. 3147/99 dell’1 aprile 1999
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