Qual'è la retribuzione giusta per il lavoro part-time?

Un'analisi del contratto di lavoro a tempo parziale alla luce delle ultime innovazioni legislative.

Lavoro part-time retribuzione giusta

1. Che cos'è il part time.

Fanno parte di questo gruppo tutti i rapporti di lavoro subordinato che prevedono un orario giornaliero o settimanale inferiore a quello ordinario. 

I contratti collettivi stabiliscono, per ciascuna categoria, l'orario ordinario, ossia pieno (cd full time), che in genere oscilla fra 36 e 40 ore settimanali (tenendo conto che 40 è il massimo consentito dalla legge), e gli eventuali contratti part time saranno tutti quelli che prevedono un orario minore.

In linea generale, ai lavoratori part time spettano gli stessi diritti che possono vantare i colleghi a tempo pieno. Ovviamente, mentre alcuni dei diritti del lavoratore spettano a prescindere dalla quantità di lavoro prestato (ad esempio il diritto a lavorare in un ambiente sicuro), ve ne sono altri che sono
proporzionati alla quantità di lavoro, quindi di tempo che il lavoratore ha messo a disposizione del datore di lavoro (a partire dalla retribuzione). Per questo, un lavoratore che percepisce una retribuzione pari alla metà del collega di pari livello e mansione che fa orario pieno, non subisce una discriminazione (ed anzi, la subirebbe il collega full time nel caso contrario). 

Se ad esempio nel settore di riferimento il CCNL prevede 39 ore settimanali, un dipendente con 26 ore settimanali è un lavoratore part time "al 66%", ossia il cui orario, retribuzione etc sono i due terzi dell'ordinario.
 

2. Tipi di part time: orizzontale, verticale, misto. Ferie e mensilità aggiuntive

La previgente normativa prevedeva espressamente queste differenti categorie; in seguito alla riforma del 2015, le disposizioni legislative attualmente vigenti si riferiscono al rapporto di lavoro part time in tutte le sue specificazioni, ma le tre categorie in questione conservano una certa utilità per comprendere in quale modo viene concretamente utilizzato questo tipo di contratto e quindi come (e perché) è disciplinato secondo certi principi.

2.1 Part time orizzontale

In questa modalità, la prestazione lavorativa viene eseguita tutti i giorni lavorativi, ma per un ridotto numero di ore rispetto all'orario ordinario (ad esempio 4 ore per 5 giorni invece che 8 ore). A parte la riduzione proporzionale della retribuzione e degli altri diritti su di essa proporzionati (esempio: importo delle mensilità aggiuntive), gli altri diritti che il lavoratore matura in funzione non delle ore lavorate ma dei giorni lavorati (ferie, ratei 13esima e 14esima), saranno maturati in misura uguale a prescindere dall'orario giornaliero. 

Nell'esempio, un part time al 50% è retribuito la metà, ma se lavora per 365 giorni all'anno maturerà il diritto allo steso numero di giorni di ferie e allo stesso numero di ratei delle mensilità aggiuntive rispetto al collega a tempo pieno (ovviamente, pur se spetta per intero la mensilità aggiuntiva, questa farà riferimento alla paga contrattuale effettiva (ridotta), e non a quella ordinaria (ossia il tempo pieno).

 

2.2 Part time verticale

Questa modalità prevede che il dipendente svolga la giornata di lavoro ordinaria, ossia l'orario pieno, ma solo alcuni giorni della settimana (o settimane del mese, o mesi dell'anno).

2.3 Part time misto

Si tratta di una forma che unisce le due precedenti: ad esempio due giornate complete su 5, più una al 50%.

2.4 Effetti sugli istituti retributivi indiretti. Ferie e mensilità aggiuntive.

Per il secondo ed il terzo tipo di part time, alcuni diritti basati sulle giornate lavorative effettive (e non sulle ore) vengono contati in modo differente rispetto al modello "orizzontale". Se ad esempio l'orario di lavoro normale è di 36 ore su 6 giorni, avremo 3 ipotesi:

 

  1. Tizio lavora 3 ore al giorno per 6 giorni, per totali 18 ore (50% del full time) per 6 giorni; 
  2. Caio lavora 6 ore il lunedì, il mercoledì e il venerdì, per complessive 18 ore (metà dell'orario ordinario) distribuite su 3 giorni settimanali invece che 6;
  3. Sempronio lavora 4 ore e mezza il lunedì, il martedì, ore il giovedì e il venerdì, per totali 18 ore (sempre la metà dell'orario ordinario) ma distribuite su 4 giorni alla settimana.

 

La retribuzione dei tre lavoratori (a parità di livello, mansione etc) è la stessa; tuttavia, Tizio maturerà lo stesso numero di giorni di ferie annuali del collega Mevio (impiegato ad orario completo), e maturerà "12 dodicesimi" di tredicesima (sempre come Mevio).

Ovviamente, tanto le ferie pagate che la mensilità aggiuntiva saranno (circa) la metà di quelle ricevute da Mevio. Lo stesso non possono dire Sempronio e soprattutto Caio (che ha il minor numero di giorni settimanali impiegati), i quali pur percependo una pari retribuzione, svolgendo il part time verticale o misto vedranno applicate delle regole specifiche, stabilite dai singoli CCNL, che in genere prevedono la riduzione del numero di giorni di ferie maturati ogni mese, nonché una rimodulazione degli importi delle mensilità aggiuntive basata sul rapporto fra giorni effettivamente lavorati e giorni totali.

La logica, in linea generale, è di riconoscere il maggior vincolo che il lavoratore impiegato tutti i giorni per meno ore subisce, rispetto al collega che ha alcuni giorni settimanali liberi; per questo alcune disposizioni legano certi diritti ai giorni di lavoro nel periodo, prescindendo dall'orario di lavoro. 

 

3. Orario minimo

Non si prevede un orario minimo per il tempo parziale sotto il quale non sia possibile scendere; se è il contratto collettivo a prevederlo, ed il datore stipula un contratto per un numero di ore inferiore al minimo, può essere sanzionato dall'Ispettorato del lavoro, che gli imporre di adeguarsi al CCNL. 

Per evitare sanzioni, pertanto, l'azienda avrà cura di stipulare il contratto davanti ad un'apposito organismo posto a garanzia del lavoratore (le commissioni di certificazione): in tal modo si è certi che il dipendente sia effettivamente intenzionato a lavorare per un così esiguo numero di ore.
 

4. Ore supplementari

Si tratta di ore di lavoro aggiuntive, che il datore può chiedere al lavoratore part time. La prima cosa da tenere a mente è che il limite massimo è rappresentato dall'orario ordinario ("supplementare" è riferito al contratto part time stipulato): le ore ulteriori rispetto al full time saranno considerate, a prescindere dal fatto che il contratto sia part time, come lavoro straordinario. 

Rimanendo entro i limiti di legge, l'azienda può chiedere (spesso pretendere) che il lavoratore svolga ore aggiuntive. La riforma del 2015 ha ridotto il ruolo delle organizzazioni sindacali: mentre in passato, o si prevedevano e disciplinavano le ore supplementari (al pari delle cd clausole elastiche) nei contratti collettivi, oppure per inserirle validamente in un contratto di lavoro – individuale, era necessario il consenso dell'interessato. 

Va inoltre notata la specularità con la disciplina delle clausole elastiche (differenze fra i due istituti si sarebbero prestate ad abusi): le ore supplementari andranno retribuite con una maggiorazione del 15% sulla retribuzione globale di fatto, e non potranno comunque superare il 25% di quelle stabilite
pattiziamente. 

Infine, la disciplina attuale prevede, come quali ipotesi che consentano al lavoratore di rifiutare le ore supplementari, solo le comprovate esigenze lavorative (ad es. un secondo lavoro), mediche, familiari o di istruzione e formazione professionale. 

5. Modifiche all'orario di lavoro

Come già previsto prima del 2015, il contratto deve specificare dettagliatamente quando (giorni dell'anno ed orario) e per quanto (durata) il lavoratore è tenuto a svolgere la sua prestazione

Si tratta di una regola importante, in quanto consente al lavoratore di sapere precisamente come adempiere correttamente all'obbligazione assunta con il contratto e gli di disporre in maniera più efficiente del tempo restante (per svolgere un secondo lavoro o altro). E, chiaramente e salvo quanto si dirà a proposito delle cd clausole elastiche, il datore non può modificare tali dati a piacimento. 

Proprio per l'importanza di tal specificazioni, si prevede che se il contratto (che di per se è valido anche se stipulato oralmente) non specifica tali dati: 

  • se manca l'indicazione della riduzione oraria (ossia sul contratto non si fa alcun riferimento alla ridotta percentuale di ore rispetto all'ordinario), il lavoratore potrà chiedere al tribunale di dichiarare che l'orario non è ridotto ma ordinario; 
  • qualora manchi l'indicazione della durata, la conseguenza è la stessa – di fatto è lo stesso dato che manca, non potendo capire quando deve lavorare il dipendente rispetto all'orario ordinario: il giudice può convertire il contratto in uno ad orario pieno;
  • quando manca invece la collocazione temporale (orari, giorni) della prestazione, ma non è in discussione la riduzione dell'orario e la misura di questa, il lavoratore potrà chiedere al giudice di stabilire le modalità temporali di esecuzione dell'attività lavorativa (che resta a tempo parziale), tenendo conto delle esigenze familiari del lavoratore e della sua eventuale necessità di svolgere attività lavorativa ulteriore e delle esigenze del datore di lavoro.
     

In tutti e tre i casi, per il periodo precedente il dipendente avrà diritto alla retribuzione delle sole ore effettivamente svolte ed all'eventuale risarcimento del danno

6. Clausole elastiche e flessibili

Si tratta in via generale di clausole contrattuali che l'azienda inserisce nei contratti part time per avere una maggior flessibilità nel definire l'orario di lavoro del dipendente. La precedente disciplina distingueva le clausole elastiche (che consentivano di aumentare la durata della prestazione) e quelle flessibili (che permettevano di modificare giorni ed orari della prestazione, senza modificarne la durata. 

Simili clausole potevano essere inserite nel contratto individuale solo se previste dal contratto collettivo nazionale (o decentrato) dei sindacati più rappresentativi, e sempre che tale CCNL indicasse: 

  • condizioni e modalità con cui il datore di lavoro poteva modificare/aumentare l'orario di lavoro;
  • il limite massimo di tale incremento;
  • le condizioni e modalità che permettevano al lavoratore di rimuovere/modificare tali clausole contrattuali

 

6.1 Clausole elastiche nel contratto individuale

Dal 2015, le nuove disposizioni, a parte che parlano solo di clausole elastiche (quelle flessibili si ritengono comprese), hanno ridotto l'influenza della contrattazione collettiva, prevedendo che, nel silenzio dei contratti collettivi sul punto, sia ammesso inserire tali clausole in sede di contrattazione individuale, a condizione che:

  1. siano pattuite per iscritto;
  2. siano firmate davanti ad una Commissione di Certificazione, con la possibilità per il dipendente di farsi assistere da professionisti (avvocati o consulenti del lavoro) o associazioni sindacali;
  3. indichino le condizioni ed i modi tramite cui il datore di lavoro può variare l'orario di lavoro (collocazione e durata);
  4. sia rispettato il limite complessivo per cui il lavoro aggiuntivo non può superare il 25% del normale numero di ore annue del tempo parziale (pertanto, un dipendente "al 50%" potrà trovarsi al più un aumento annuale del 12,5%, pari ad un quarto della prestazione pattuita – un ottavo dell'orario pieno, se la riduzione oraria è della metà);
  5. la legge prevede che, quando il datore intende variare l'orario di lavoro, deve dare almeno due giorni lavorativi di preavviso al lavoratore;
  6. la maggiorazione (minima) di legge che deve essere riconosciuta è del 15% della retribuzione oraria complessiva (cd retribuzione globale di fatto). In merito, da alcuni si sostiene la necessità di prevedere la maggiorazione anche in caso di variazione che non comporti aumenti dell'orario di lavoro, ma il punto è controverso. Si noti inoltre che la maggiorazione inciderà in modo ordinario su tutte le componenti della retribuzione, comprese quelle indirette.
     

6.2 Revoca del consenso alle clausole elastiche

Anche in tema di revoca del consenso all'inserimento delle clausole elastiche nel proprio contratto di lavoro, la legge ammette tale possibilità per il dipendente solo in tassative ipotesi, ossia: 

  1. lavoratore, oppure il coniuge/figlio/genitore con malattia oncologica o grave patologia degenerativa ingravescente, da cui derivi una riduzione della capacità lavorativa (accertata presso la competente CMT);
  2. il lavoratore assiste una persona convivente con totale e definitiva inabilità al lavoro, e che necessiti di assistenza continuativa;
  3. sia uno studente-lavoratore;
  4. conviva con un figlio portatore di handicap o minore di 13 anni;
     

Rispetto alla normativa precedente, non è più consentito ai CCNL stabilire altre ipotesi in cui al lavoratore è data la possibilità di revocare il consenso alle clausole elastiche.

La legge infine esplicita che non integra un giustificato motivo di licenziamento il rifiuto, da parte del dipendente, di concordare con la controparte una variazione dell'orario.

 

7. Compatibilità di più contratti part time

Si è più volte fatto riferimento alla possibilità che il dipendente svolga più di un'attività lavorativa. Oltre all'eventuale necessità, se i due datori di lavoro svolgono attività in concorrenza, che il lavoratore li informi e si faccia autorizzare, deve essere rispettata la disciplina dell'orario massimo settimanale (straordinari compresi)e dei riposi. 

Si noti che grava sul dipendente l'onere di informare i datori di lavoro circa le ore "già impegnate", che in mancanza di comunicazione non sono sanzionabili. Oltre ai limiti che seguono, si deve considerare che per quanto concerne gli istituti retributivi (ore supplementari o straordinarie e relative maggiorazioni), i due rapporti di lavoro sono del tutto separati – non potendo il dipendente cumulare le ore supplementari svolte per entrambi (magari per
"arrivare" allo straordinario). Si continuerà in entrambi i rapporti a far riferimento al solo orario normale previsto nei due contratti.
 

7.1 Orario massimo settimanale

Sono ammesse al massimo 48 ore settimanali comprensive di straordinario, da calcolare però in media su un periodo di 4 mesi.

7.2 Riposo giornaliero

Il lavoratore ha in ogni caso diritto a 11 ore consecutive di riposo ogni 24. 

7.3 Eiposo minimo settimanale

Si ha diritto a 24 ore consecutive di riposo ogni 7 giorni, da considerare in media su 14 giorni. 

7.4 Lavoratori autonomi

La legge non vieta in linea generale di cumulare un'attività subordinata con un'attività autonoma o professionale, limitandosi a disciplinare i casi di conflitto di interessi (ossia le situazioni in cui il dipendente presta il proprio lavoro per un'azienda che è concorrente dell'attività, svolta autonomamente – con partita IVA – dal lavoratore). 

Inoltre, le disposizioni sui riposi si applicano ai soli lavoratori subordinati, mentre quelli autonomi sono liberi di determinare la quantità di tempo da dedicare alla loro attività. 

8 Obbligo di concedere il part time e trasformazione in contratto ad orario ordinario

In generale, le aziende non sono tenute a consentire ai dipendenti che lo richiedano il passaggio al part time, e specularmente non possono senza il suo consenso modificare il contratto da orario pieno a orario ridotto (anzi, un rifiuto non integra di certo un giustificato motivo di licenziamento).

Se il lavoratore da il proprio consenso al passaggio dall'orario ordinario a quello ridotto, oltre alla necessaria forma scritta ad probationem si prevede il diritto dello stesso ad essere preferito qualora l'azienda si determini ad effettuare nuove assunzioni a tempo pieno (ovviamente purché siano uguali mansioni o comunque dello stesso livello o categoria). 

Inoltre, il datore che intende assumere part time deve preventivamente comunicare ai propri dipendenti a tempo pieno tale intenzione, per consentirgli di eventualmente fare domanda. Non si prevede più la possibilità di inserire nel contratto individuale a tempo ridotto la clausola che conferisca il diritto di preferenza in caso di nuove assunzioni a tempo pieno. 

Una ulteriore novità sta nel fatto che l'azienda è obbligata a consentire il passaggio al tempo parziale per il lavoratore che: 

  • lo chieda in sostituzione del congedo parentale (per una sola volta, per il periodo corrispondente a quello di aspettativa, con una riduzione di orario massima del 50%);
  • sia affetto da patologie oncologiche o degenerative che riducano la capacità lavorativa; 
  • in caso di lavoratrice donna, che sia stata vittima di violenza di genere e risulti inserita in un percorso di protezione (purchè esistano posti disponibili in azienda).
  • Infine, il lavoratore che assista un coniuge, un figlio o un genitore affetto dalle patologie suddette, ovvero conviva con una persona totalmente invalida o con un figlio entro i 13 anni o affetto da handicap, avrà diritto non alla trasformazione del contratto, ma ad essere preferito ad altri dipendenti che ne facciano domanda (il datore non è quindi obbligato, ma se decide di ridurre l'orario di un dipendente dovrà primariamente considerare il lavoratore in questione).
     

9. Maturazione contributi

I contributi previdenziali, accreditati a nome dei lavoratori, sono calcolati come una percentuale (cd. aliquota contributiva) della retribuzione imponibile ai fini pensionistici: ciascun settore contrattuale ha una propria aliquota. 

Per questa ragione, i dipendenti part time hanno, a parità di altre condizioni, diritto ad un accredito minore rispetto ai loro colleghi a tempo pieno, con la conseguenza di maturare una pensione di minor importo. Per questo si può affermare in via generale che il part time influenza negativamente la misura del diritto alla pensione

Tuttavia, si deve considerare che in alcune situazioni dei bassi versamenti previdenziali possono incidere in negativo anche sul diritto alla pensione in quanto tale. Sicuramente, nel caso del part time verticale (o misto), i periodi non lavorati (e non retribuiti) non saranno chiaramente coperti da contribuzione. Oltre, un analogo effetto lo si può avere anche nel part time orizzontale, nel caso in cui la retribuzione sia talmente bassa (quindi un orario estremamente ridotto) da non raggiungere il cd minimale.

9.1 Il minimale contributivo

Si tratta di una retribuzione minima, stabilita dall'INPS, che consente l'accredito dei contributi (che, si ricordi, per i due terzi sono versati dal datore e solo per il rimanente sono trattenuti sulla retribuzione): è una specie di stipendio minimo sul quale vanno calcolati, applicando la percentuale previstas per la categoria, i contributi da versare

Se l'imponibile previdenziale (la retribuzione "lorda" su cui si calcolano i contributi dovuti) risulta minore della soglia in questione, i contributi saranno calcolati sul minimale e accreditati riproporzionando il periodo contributivo. 

In altre parole, se si lavora pochissime ore a settimana per un anno, a tal punto che la retribuzione risulta essere inferiore al minimale, i contributi versati saranno "concentrati" in un periodo minore delle 52 settimane annue. Pertanto, si avrà una effettiva riduzione delle settimane coperte da contributi, ma coperte da una contribuzione considerata sufficiente. 

Il minimale contributivo ammonta al 40% del trattamento pensionistico minimo (nel 2018 pari a 507.42 euro), pertanto sarà di 202,97 euro

Su questo minimale, si applica l'aliquota contributiva propria del contratto (ad es. 35%): 

  • se la contribuzione effettivamente versata risulta pari o superiore a 71 euro settimanali (ovvero 3694 euro annui) il lavoratore avrà accantonato 52 settimane contributive (la cui "misura" dipenderà da quanto ha effettivamente percepito di stipendio); 
  • qualora la contribuzione versata sia minore del minimo, si ridurranno le settimane assicurate (dividendo l'imponibile inps compessivo effettivamente percepito per i 71 euro settimanali sotto i quali, per quel settore merceologico, non si può scendere). Se ad esempio il lavoratore ha versato solo 2500 euro annui, con il minimale settimanale appena calcolato possiamo calcolare le settimane contributive che gli saranno riconosciute (2500/71=35,2):
    gli saranno riconosciute circa 35 settimane sull'intero anno.
     

10. Permessi legge 104

In relazione alle ore di permesso di cui è possibile usufruire in base alla legge quadro sull'assistenza, l'integrazione ed i diritti delle persone disabili, occorre fare una distinzione:

 

  • part time orizzontale: lavorando tutti i giorni, non vi sono differenze rispetto al contratto ad orario pieno. Il lavoratore ha quindi diritto comunque a 3 giorni al mese. Ovviamente, le ore di permesso nella singola giornata saranno minori (come quelle lavorate);
  • part time misto o verticale: per chi lavora solo alcuni giorni alla settimana, o alcuni mesi dell'anno, in linea generale il numero di giorni di permesso va riparametrato in base alle giornate/mesi di lavoro prestate. Tuttavia, se il dipendente è impegnato per oltre la metà della settimana lavorativa, avrà ugualmente diritto a 3 giorni di permesso.

 

11. Fonti Normative

 

D.Lgs. nn. 61/2000, 276/2003, 66/2003, 81/2015
Leggi nn. 247/2007, 183/2014

 

Emilio Stacchetti
 

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