Indennità di licenziamento: cosa spetta al lavoratore?
L’indennità di disoccupazione, che deriva dal licenziamento, spetta al dipendente vittima di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo o di un licenziamento per giustificato motivo soggettivo (o per giusta causa).
L’entrata in vigore del Jobs Act ha modificato l’indennità di licenziamento. Prevista per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, per l’apprendistato, per coloro che sono passati dal tempo determinato all’indeterminato e per chi, cessando da un precedente rapporto lavorativo, ha firmato un nuovo contratto.
1. Quando spetta l’indennità di licenziamento?
L’indennità di licenziamento (NASPI 2017), spetta al lavoratore che ha subito un licenziamento per:
- Giustificato motivo oggettivo: in questo caso la cessazione è prevista quando un’azienda licenzia a causa di una crisi economica interna senza possibilità di ricollocazione all’interno della stessa realtà e con le stesse mansioni precedenti. In tal caso il lavoratore, se ricorrono i requisiti, ha diritto a percepire anche l’indennità di disoccupazione 2017. Qualora il lavoratore dovesse impugnare il licenziamento e il giudice ne ravvisi l’ingiustificato motivo (ovvero un licenziamento ad esempio per cause pretestuose), il datore verrà condannato al pagamento di un’indennità senza però il riconoscimento dei contributi previdenziali. In tal caso, il lavoratore percepirà un’indennità di due mensilità per ogni anno di servizio, con un massimo di ventiquattro mensilità. In caso di imprese con meno di quindici dipendenti il lavoratore percepirà un’indennità pari ad una mensilità per ogni anni di servizio, fino ad un massimo di sei mesi.
- Giusta causa/giustificato motivo soggettivo: in questo caso abbiamo una cessazione dovuta o ad una grave infrazione che impedisce la continuazione del rapporto lavorativo o ad un comportamento che, seppur meno grave, si concreta in una violazione disciplinare. Qualora ci sia impugnazione da parte del licenziato e il giudice ravvisi la causa della cessazione non grave, spetterà al lavoratore un’indennità versata dal datore ma privi di contribuzione previdenziale. In tal caso la suddetta indennità prevista è pari a due stipendi per ogni anni di servizio, da un minimo di quattro ad un massimo di ventiquattro mensilità. Per le imprese con medo di quindici dipendenti è prevista una mensilità per ogni anno di lavoro con un minimo di due ad un massimo di sei mensilità. Nel caso in cui il giudice, viceversa, ravvisi l’illegittimità del licenziamento, sussiste la tutela reale attenuta. Ovvero, non sussistendo l’accadimento materiale contestato, il lavoratore potrà scegliere tra il ricevere un’indennità pari a quindici mensilità o l’essere reintegrato. Il datore sarà altresì obbligato a risarcire al lavoratore ingiustamente licenziato gli stipendi che gli spettano dal momento della cessazione fino all’effettiva reintegrazione. Tali versamenti saranno comprensivi dei contributi previdenziali. Per quel che concerne le imprese con meno di quindici dipendenti, qualora il licenziamento venisse considerato illegittimo la misura dell’indennità potrà arrivare fino ad un massimo di sei mesi. In caso di licenziamenti discriminatori, in forma orale o nulli è prevista, sia per le imprese grandi che per quelle con meno di quindici dipendenti, il reintegro.
2. Indennità di licenziamento in caso di cessazione collettiva
È possibile che un’impresa decida, per gravi motivi economici, di privarsi di un buon numero di lavatori.
Ciò si concreta in una riduzione del personale, ad una ristrutturazione di un’unità produttiva o, nel caso peggiore, ad una dismissione definitiva.
Qualora ci sia un’impugnazione dei licenziamenti e il giudice li ritenesse illegittimi per la violazione delle normative vigenti, ai lavoratori spetta un’indennità che varia da un minimo di quattro mensilità ad un massimo di ventiquattro mensilità.
Per i licenziamenti collettivi in forma non scritta o nulli è previsto il reintegro sul posto di lavoro.
3. Il risarcimento e il possibile reintegro
Nonostante le nuove normative introdotte, restano prive di modifiche le disposizioni previste per alcuni tipi di licenziamento:
- Per i licenziamenti orali privi della comunicazione scritti, nel caso in cui ci sia una discriminazione individuale o collettiva e vengano violati i diritti fondamentali dell’uomo così come previsti dalla Costituzione. Pensiamo ad esempio alla parità sociale, alla razza, al sesso o alla salute. Va detto che nel caso di specie non rientrano l’età, le condizioni di salute psico-fisiche (a meno che esse non incidano sulle capacità lavorative del soggetto) e le condizioni di salute dei familiari (in base alle quali il lavoratore fruisce dei permessi così come previsto dalla normativa vigente: Legge 104);
- Per i licenziamenti della donna a causa di gravidanza, matrimonio o perché madre;
- Per i licenziamenti per difetto del motivo della disabilità psico-fisica del lavoratore.
In tutti i casi in cui siano effettive la discriminazione, la nullità e il licenziamento a voce, il licenziamento sarà evidentemente illegittimo.
Pertanto il giudice, che ne constaterà l’illegittimità, ordinerà l’immediato reintegro del lavoratore discriminato sul posto di lavoro e condannerà a sua volta il datore all’effettivo risarcimento del danno.
Il risarcimento si concreta nel pagamento di almeno 5 mensilità, comprensive di contribuzione previdenziale, che vengono calcolate sulla base dell’ultima retribuzione e dal giorno del licenziamento.
Questa forma di tutela si applica a tutti i lavatori (ad eccezione dei dirigenti per i quali valgono ancora le norme dello Statuto dei Lavoratori) licenziati ingiustamente, a prescindere dall’entità dell’impresa (tanto è vero che vi rientrano aziende anche con meno di quindici dipendenti).
Fonti normative
Legge 10 dicembre 2014, n. 183;
Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22;
Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23;
Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80;
Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81;
Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148;
Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 149;
Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150;
Decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151.
Decreto legislativo n. 151/2001
Legge n. 104/1992
Legge n. 223/1991
Decreto legislativo n. 66/2003
Cassazione Civile, sentenza numero 21028/2012
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