Impresa in fallimento: il lavoratore può dimettersi?
È una domanda che riguarda un numero sempre crescente di lavoratori, considerato che oggi sono molte le imprese costrette a chiudere i battenti. E, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il lavoratore non può dimettersi liberamente, pena conseguenze spiacevoli a suo carico. Vediamo ora nello specifico cosa succede in caso di fallimento e quali sono le possibilità che si presentano al lavoratore.
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1. Impresa in fallimento
In linea generale la procedura fallimentare può essere definita come quella procedura volta a soddisfare le ragioni dei creditori di un’impresa. Non tutte le imprese possono accedere alla procedura fallimentare ma solo quelle che presentano i seguenti presupposti ai sensi del regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942 (meglio noto come legge fallimentare):
- soggettivo: deve trattarsi di un’impresa commerciale, così come definita dall’art. 2195 c.c. (ad esempio, un supermercato, un’azienda di autotrasporti, un negozio di abbigliamento). Dobbiamo precisare che l’impresa agricola non è un’impresa commerciale e, pertanto, non sarà soggetta al fallimento.
- oggettivo: l’impresa deve versare in uno stato di insolvenza, cioè non è più in grado di fare fronte alle sue obbligazioni con regolarità.
Dopo aver accertato i predetti presupposti, il tribunale competente per territorio accoglierà l’istanza di fallimento dichiarando appunto il fallimento dell’impresa.
2. Contratti di lavoro in pendenza di fallimento
Ai sensi dell’art. 72 legge fallimentare, a seguito della pronuncia della sentenza di fallimento, i contratti di lavoro vengono sospesi.
Il curatore, che subentra all’imprenditore fallito nella gestione dell’impresa, dovrà decidere la sorte dei singoli contratti, cioè se farli proseguire oppure avviare una procedura di licenziamento.
Nelle more della decisione del curatore, come abbiamo appena detto, i contratti di lavoro sono sospesi. E questo comporta che i dipendenti non sono obbligati a prestare la loro attività lavorativa e il curatore non è tenuto a retribuirli né a versargli i contributi.
A ragione di ciò, essi non devono rimanere inerti e aspettare un eventuale licenziamento ma possono ben attivarsi per la ricerca di un nuovo lavoro.
Difatti, i dipendenti del fallito, qualora riescano a trovare un’altra opportunità, possono dimettersi.
3. Come dimettersi in caso di fallimento?
Il dipendente che abbia trovato un nuovo lavoro dovrà chiedere al giudice delegato del fallimento l’assegnazione di un termine (non superiore a 60 giorni) entro cui il curatore dovrà decidere se tenere in vita il singolo contratto o scioglierlo con il licenziamento.
Se il curatore non si pronuncia nel temine prefissato, il contratto si intenderà sciolto e il lavoratore potrà iniziare il nuovo lavoro. Se il dipendente, invece, non volesse attendere il decorso del predetto termine dimettendosi immediatamente, potrebbe andare incontro ad alcune conseguenze spiacevoli.
In primo luogo, il curatore potrebbe richiedergli l’indennità di mancato preavviso e, in secondo luogo, lui non avrebbe diritto a percepire la Naspi in quanto il fallimento non è considerato giusta causa di dimissioni.
A fronte di tutto ciò, è bene affidarsi a professionisti esperti della materia, quali avvocati specializzati in diritto fallimentare, che sapranno certamente consigliare il lavoratore nella decisione da adottare.
Carla Condoluci
Fonti normative
Codice civile: art. 2195 c.c.
Regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942: disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa.
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