Vendita con patto di riscatto
Il Codice civile offre l’opportunità di vendere un determinato bene con la possibilità, per il venditore, di riacquistarne la proprietà in futuro. Scopriamo quali sono le conseguenze e gli effetti di tale contratto.
Sebbene quando si parli di compravendita si faccia riferimento a quel tipico contratto che consente il trasferimento della proprietà da un soggetto ad un altro, la legge italiana prevede un’ipotesi in cui il venditore può tornare in possesso del bene alienato. Questa facoltà si realizza grazie al diritto di riscatto, disciplinato dall’art. 1500 del codice civile.
1. La vendita con riscatto: funzione e natura giuridica
Sebbene quando si parli di compravendita si faccia riferimento a quel tipico contratto che consente il trasferimento della proprietà da un soggetto ad un altro, la legge italiana prevede un’ipotesi in cui il venditore può tornare in possesso del bene alienato. Questa facoltà si realizza grazie al diritto di riscatto, disciplinato dall’art. 1500 del codice civile.
Ma qual è la funzione del diritto di riscatto e le relative conseguenze? La vendita con patto di riscatto è una particolare figura giuridica prevista dal codice civile, che si basa su di una propria ratio legis specifica, la quale si contrappone radicalmente alla funzione tipica della compravendita ordinaria.
La compravendita, difatti, è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o di un diritto verso il corrispettivo di un prezzo. Pertanto, il venditore perde definitivamente la proprietà del bene che passa in capo all’acquirente.
Nella ipotesi di vendita con patto di riscatto, invece, il venditore ha la possibilità di riottenere (o meglio: riscattare) dall’acquirente il bene venduto, restituendo il prezzo e gli eventuali rimborsi stabiliti, ai sensi dell’art. 1502 c.c.
A questo punto le domande che sorgono sono: per quali motivi si addiviene alla stipula di una vendita con riscatto? qual è la natura giuridica dell’istituto in parola? Quali sono le ipotesi più ricorrenti?
- Motivi
La vendita con diritto di riscatto è spesso esercitata dal venditore quando questi si trova in una condizione economica precaria e decida di alienare il bene per reperire una quantità di denaro sufficiente a sopperire alle proprie esigenze temporanee. Questo istituto perciò si basa sul presupposto che il venditore si trovi in una situazione di difficoltà economica temporanea.
Avremo cosi due soggetti: il venditore/debitore ed il compratore/creditore. Proprio per questo l’istituto in questione rappresenta, soprattutto nell’ottica del compratore/creditore, una sorta di garanzia per l’adempimento, sapendo che il venditore/debitore avrà tutto l’interesse a riottenere il bene ceduto, e dunque è ragionevole pensare che procederà al riscatto restituendo la somma pattuita.
Per questo motivo è offerta la possibilità al soggetto in questione di apporre una condizione di questo tipo al fine di poter riacquistare il bene, alienato per motivi di urgenza, che altrimenti non sarebbe mai uscito dal patrimonio del venditore.
Il primo comma dell’art. 1500 illustra con estrema chiarezza questo concetto, mentre al comma 2 viene posta una tutela in favore del venditore, il quale non dovrà versare un prezzo superiore a quello stipulato per la vendita: sorge quindi un divieto in capo all’acquirente di approfittarsi del momento di difficoltà economica dell’alienante, per poter trarre un guadagno maggiore di quello pattuito. In questo caso il sovrapprezzo richiesto risulterà nullo e non dovuto dal venditore stesso.
- La natura giuridica
La vendita con patto di riscatto, soprattutto in passato, veniva generalmente configurata dalla dottrina come una clausola contenente una condizione risolutiva potestativa. La condizione, invero, è un elemento accidentale del negozio giuridico, una clausola che, per l’appunto, condiziona l’efficacia del negozio, il tempo o il modo dell’adempimento.
Pertanto, la vendita con riscatto veniva considerata come una condizione, perché, appunto, il riscatto consiste in un evento futuro ed incerto che subordina l’efficacia del negozio stesso alla volontà del venditore di riacquistare il bene venduto; una condizione di tipo risolutiva, perché con il riscatto si sciolgono gli effetti del contratto di vendita che si pone nel nulla, in quanto il bene torna in proprietà del venditore; potestativa, perché l’avverarsi della condizione è legata alla volontà unilaterale del venditore.
Questa teoria, tuttavia, è stata oggetto di critiche dalla dottrina più recente in quanto presta il fianco a delle obiezioni. In particolare, perché la condizione risolutiva comporta un effetto retroattivo, cioè come se la vendita non fosse mai avvenuta. Viceversa nella vendita con riscatto restano salvi gli effetti da essa prodotti prima del riscatto medesimo (ad es. un contratto di locazione stipulato dopo la vendita di un immobile, poi riscattato, resterà valida). Parimenti, il prezzo del riscatto può essere fissato in misura inferiore a quello della vendita. Inoltre la condizione non è in assoluto legata ad un evento incerto e futuro, essendo comunque previsto un termine massimo per esercitare il riscatto.
- Le ipotesi
Un esempio tipico di utilizzo di questo strumento legale può risultare dalla vendita di un immobile con diritto di riscatto. Il venditore si trova costretto a vendere un determinato bene immobile (ad esempio un locale commerciale o un appartamento ad uso abitativo) per fronteggiare le proprie difficoltà economiche, inserendo tuttavia il diritto di riscatto come clausola nel contratto di vendita.
Al termine del periodo di difficoltà economica (che non può essere superiore a cinque anni nel caso di beni immobili) egli può riscattare la proprietà dell’immobile, ceduta al tempo all’acquirente, dietro il pagamento di un prezzo stabilito al momento della prima vendita.
2. Quali sono gli obblighi dell’alienante nel caso di diritto di riscatto? E dell’acquirente?
La disciplina della vendita con patto di riscatto è ampiamente illustrata nel codice civile, oltre che essere oggetto di diversi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali. L’art. 1502 completa il quadro generale illustrato con l’art. 1500 del codice civile, stabilendo gli obblighi del riscattante (o dell’alienante). Il venditore in primis deve inserire tale condizione risolutiva potestativa - qualora si voglia aderire alla tesi della condizione potestativa - all’atto di vendita; oppure è possibile porre tale clausola in un momento successivo, dietro il consenso dell’acquirente, trasformando la compravendita, da pura e semplice, a risolvibile.
Il termine entro cui il venditore può riscattare la proprietà del bene alienato (art. 1501) è di due anni per i beni mobili e cinque anni per quelli immobili. Al momento del riscatto, l’alienante deve necessariamente ripetere il prezzo di vendita in favore dell’acquirente, oltre che pagare le spese accessorie e di manutenzione utili e necessarie.
L’art. 1502 illustra chiaramente come l’acquirente è tenuto a ritenere il bene fino al rimborso integrale del prezzo e delle spese. Non solo: le spese necessarie devono essere rimborsate per intero e nell’immediato all’acquirente, mentre per le spese utili il giudice può prevedere una dilazione di pagamento, dietro delle comprovate esigenze e garanzie. Tale orientamento è stato confermato in passato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1332/1983: la suprema corte in questa occasione ha ribadito come nell’ipotesi di vendita con patto di riscatto l’alienante non può trarre profitto da tale condizione risolutiva; non deve essere consentito un indebito arricchimento del venditore mediante il semplice pagamento dello stesso prezzo di vendita, nonostante l'incremento di valore apportato con gli esborsi del compratore o il perfetto mantenimento grazie alla manutenzione dovuta.
3. Come si esercita il diritto di riscatto?
Gli articoli 1503 e seguenti del codice civile indicano le modalità di esercizio del diritto di riscatto. Non è sufficiente la dichiarazione di voler riscattare la proprietà per esercitare tale facoltà, bensì bisogna procedere all’effettiva liquidazione delle somme dovute a favore dell’acquirente. Tuttavia bisogna compiere una piccola precisazione: se l’oggetto della compravendita è un bene immobile, la dichiarazione di riscatto deve essere fatta per iscritto, pena la nullità.
Ma cosa accade se l’acquirente aliena a sua volta il bene del venditore? Anche in questo caso l’alienante può usufruire del diritto di riscatto purché tale clausola sia opponibile ai terzi. Ciò comporta che in caso di acquisto con patto di riscatto di un bene immobile, ad esempio, qualora venga ceduto successivamente a terzi, questo possa essere riscattato dal venditore anche nei confronti di terzi, ai sensi dell’art. 2653.
4. Il diritto di riscatto a quali nullità è soggetto?
In virtù delle caratteristiche dell’istituto in esame, la vendita con patto di riscatto è uno strumento che ben può prestarsi ad abusi ovvero ad un uso distorto, soprattutto per celare l’esistenza, alla base, di altri e diversi negozi giuridici, tanto da indurre il legislatore - supportato in questo dalla giurisprudenza - a delimitare con precisione l’ambito di applicazione dell’istituto stesso.
La vendita con patto di riscatto può risultare nulla o viziata qualora ricorrano determinate condizioni. Come detto già in precedenza, qualora il compratore chieda all’alienante un prezzo maggiore rispetto a quello pattuito e dovuto per il riscatto della proprietà, questo “sovrapprezzo” risulta nullo e dovuto.
Ma quando si parla di nullità generale della vendita con patto di riscatto si fa riferimento ad un’altra ipotesi: il contratto diviene nullo se il fine è quello di garantire un credito. Cosa si intende con ciò? Che il versamento del prezzo non deve rappresentare l’adempimento di un mutuo ed il trasferimento del bene non deve essere qualificato di conseguenza come una garanzia transitoria del contratto.
La giurisprudenza, difatti, intervenuta più volte sull’argomento ha chiarito che è nulla la vendita fatta a scopo di garanzia, soprattutto allorquando, con tale istituto, si voglia aggirare il divieto del patto commissorio. Il divieto del patto commissorio è regolato dal codice civile, il quale statuisce che sia nullo ogni patto con il quale si conviene che la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno, passi al creditore in mancanza di pagamento del debitore. Detto ciò, è chiaro che la vendita con riscatto, per le sue peculiarità, ben si presterebbe ad aggirare proprio il divieto del patto commissorio.
Proprio per questo, la Suprema Corte, ha ribadito più volte la nullità della vendita con patto di riscatto qualora con la stessa si voglia costituire una garanzia a favore del compratore/creditore, ogni qualvolta sia previsto che, in caso di inadempimento del venditore/debitore, si abbia l’attribuzione definitiva ed irrevocabile del bene in capo al creditore. In tale ipotesi, esso sarebbe nullo per violazione del divieto del patto commissorio, nonché si configurerebbe come contratto in frode alla legge.
Fonti normative
Art. 1470 codice civile
Art. 1500 codice civile: patto di riscatto
Art. 1501 codice civile: termini
Art. 1502 codice civile: obblighi del riscattante
Art. 2744 codice civile
Sentenza Cassazione n. 1332/1983
Sentenza Cassazione n. 23670/2015 n.18680/2019
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