Cosa si intende per arbitrato e come funziona?
L’arbitrato è uno strumento di risoluzione delle controversie alternativo rispetto alla giurisdizione ordinaria; significa che, per la definizione di una controversia, la legge prevede la possibilità di rivolgersi ad arbitri, ossia a privati cittadini, anziché agli organi giurisdizionali.
1. Arbitrato: nozioni generali
Ai sensi dell’art. 806 c.p.c., le parti possono stabilire che le controversie tra loro insorte, salvo che non abbiano ad oggetto diritti indisponibili, nonché salvo espresso divieto legislativo, sono sottratte alla giurisdizione dello Stato e rimesse alla decisione di arbitri. Il legislatore considera particolarmente meritevoli di tutela le controversie in materia di lavoro (art. 409 c.p.c.), le quali possono essere devolute agli arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti o accordi collettivi di lavoro.
Il patto con il quale le parti si accordano per sottrarre una o più controversie alla giurisdizione dello Stato e ad attribuirle ad arbitri si definisce convenzione di arbitrato; esso può assumere la veste del compromesso (art. 807 c.p.c.), ovverosia di un contratto autonomo, qualora si riferisca a controversie già insorte tra le parti, oppure della clausola compromissoria (art. 808 c.p.c.) inserita all’interno di un contratto o di un atto separato, con cui le parti deferiscono preventivamente alla giurisdizione arbitrale le future controversie che dovessero nascere dal contratto medesimo.
La convenzione di arbitrato esige, a pena di nullità, la forma scritta che si considera rispettata anche quando la volontà delle parti è espressa per telegrafo, telescrivente, telefacsimile o messaggio telematico nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti teletrasmessi (art. 808 c.p.c.).
Il ricorso al giudizio arbitrale comporta la possibilità di ottenere una decisione in tempi più veloci, devolvere controversie particolarmente delicate alla decisione di persone che abbiano specifiche competenze tecniche e favorire soluzioni che siano più facilmente accettate da tutte le parti in causa, tenuto conto che gli arbitri sono liberamente scelti dalle parti. Tuttavia, vi sono anche degli inconvenienti, come gli elevati onorari da corrispondere agli arbitri e il rischio di una non effettiva imparzialità del giudizio.
1.1 Arbitrato rituale e irrituale
Il d. lgs n. 40 del 2006 ha profondamente innovato la disciplina dell’arbitrato, tracciando, in particolare, il confine tra arbitrato rituale e irrituale.
In passato si è molto discusso circa la natura giuridica dell’arbitrato rituale ma, attualmente, esso dà luogo a un lodo rituale avente gli stessi effetti di una sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria dalla data della sua ultima sottoscrizione (art. 824-bis c.p.c.).
Per converso, l’arbitrato irrituale, disciplinato per la prima volta nel codice di rito all’art. 808-ter c.p.c., dà luogo a un lodo con mera efficacia contrattuale.
2. Gli arbitri
Gli arbitri sono designati liberamente dalle parti, le quali stabiliscono il numero e le modalità di nomina, all’interno della convenzione di arbitrato oppure con un accordo separato e ad essa posteriore. Devono essere necessariamente possedere la capacità di agire, nonchè in numero dispari, al fine di garantire la formazione della maggioranza al momento della decisione (art. 809 c.p.c.).
L’accettazione della nomina, che deve avvenire per iscritto, può anche risultare dalla sottoscrizione del compromesso, oppure dal verbale di prima riunione (art. 813 c.p.c.).
Gli arbitri assumono verso le parti il dovere di portare diligentemente a termine l’incarico ricevuto e, dunque, di decidere la controversia loro sottoposta, dovere dalla cui inosservanza può derivare una loro responsabilità risarcitoria nei confronti delle parti medesime (art. 813-ter), ed eventualmente, prima ancora, la decadenza dall’incarico (art. 813-bis), inoltre essi possono essere ricusati per i motivi di cui all’art. 815 c.p.c.
Hanno diritto al rimborso delle spese e all’onorario previsto per l’opera prestata, salvo che vi abbiano rinunciato al momento dell’accettazione o con atto scritto successivo. Le parti sono tenute al pagamento in solido, salvo rivalsa tra loro (art. 814 c.p.c).
3. Procedimento e decisione
Particolare importanza assume la sede dell’arbitrato che, di regola, le parti dovrebbero provvedere ad indicare all’interno della convenzione d’arbitrato, intesa come indicazione geografica all’interno del territorio della Repubblica Italiana, giacchè è implicitamente subordinato all’applicazione delle norme italiane.
L’art. 816 c.p.c. dispone che in mancanza gli arbitri possono designare la sede, se nessuno ha provveduto a sceglierla corrisponde al luogo in cui è stata stipulata la convenzione, se il luogo non si trova nel territorio italiano la sede è a Roma.
La rilevanza della sede ha natura eminentemente formale, invero ad essa si ha riguardo per individuare il presidente del tribunale cui spettano una serie di provvedimenti connessi al procedimento arbitrale, come la nomina, la sostituzione o la ricusazione degli arbitri, la liquidazione dei relativi onorari e rimborsi spese.
Principio fondante la regolamentazione del procedimento arbitrale è l’assoluta prevalenza della volontà delle parti, le quali possono predeterminare, tanto nella convenzione di arbitrato, quanto in un atto scritto separato purché precedente all’instaurazione del giudizio arbitrale, le norme cui gli arbitri devono attenersi nella decisione.
L’art. 832 c.p.c. dispone che la convenzione di arbitrato possa anche solo limitarsi a rinviare in tutto o in parte a un regolamento arbitrale precostituito, predisposto da enti o associazioni, pubblici o privati, in questo caso il rinvio potrebbe essere circoscritto alla sola disciplina procedimentale.
Davanti agli arbitri è ammessa la rappresentanza tecnica e i poteri del procuratore-difensore sono molto più ampi, estendendosi a qualsiasi atto processuale (art. 816-bis c.p.c.).
Con la riforma la disciplina procedimentale dell’arbitrato è divenuta molto più analitica, essendo stati introdotti specifici articoli dedicati all’istruzione probatoria (art. 816-ter), al procedimento con una pluralità di parti (art.816-quater), all’intervento di terzi e alla successione del diritto controverso (art. 816-quinquies), alla morte, estinzione o perdita della capacità della parte (art. 816-sexies), all’anticipazione delle spese (art. 816-septies), all’eccezione di compensazione (art. 817-bis), alla sospensione del procedimento arbitrale (art. 819-bis), ai rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria (art. 819-ter).
Per quanto riguarda la pronuncia del lodo, l’art. 820 c.p.c. prevede un termine di 240 giorni dall’accettazione della nomina per la pronuncia del lodo, salvo che le parti non abbiano fissato un termine diverso. Il termine può altresì essere prorogato nei casi espressamente previsti dalle norme ed è sospeso durante la sospensione del procedimento.
Il lodo ha efficacia di sentenza dalla data della sua ultima sottoscrizione, mentre il deposito del lodo presso la cancelleria del tribunale nel cui circondario è posta la sede dell’arbitrato serve solo per la dichiarazione di esecutività, conferita con decreto del tribunale sulla scorta della mera regolarità formale del lodo medesimo. Può essere reclamato il decreto che nega l’esecutorietà del lodo e quello che concede l’exequatur, il reclamo è deciso dalla Corte d’Appello in camera di consiglio.
Il lodo può altresì essere impugnato per nullità, revocazione e opposizione di terzo.
Fonti normative
Codice di procedura civile: articoli da 809 a 831.
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