I criteri di aggiudicazione negli appalti pubblici

L’attività contrattuale della p.a. a differenza di quella di qualsiasi altro soggetto privato, non soggiace solo al vaglio della meritevolezza degli interessi ex art. 1322 c.c., andando incontro a più stringenti limiti derivanti dalla finalità di interesse pubblico alla quale la stessa deve essere indirizzata.

Originariamente, si riteneva che le azioni e gli schemi contrattuali propri del diritto privato non fossero idonei a consentire all’amministrazione il soddisfacimento dell’interesse pubblico. 

All’amministrazione veniva così riconosciuta solo una potestà di diritto pubblico, la quale si esercitava attraverso l’emanazione di atti suscettibili di incidere unilateralmente sulle posizioni giuridiche di soggetti terzi, i c.d. provvedimenti amministrativi.

Nel corso del tempo, invece, si è presa cognizione del fatto che lo scopo di pubblico interesse può in realtà essere efficacemente perseguito anche attraverso lo strumento negoziale privatistico, ossia con l’utilizzo di atti posti in essere dall’amministrazione in posizione di tendenziale parità con il privato cittadino. Il riconoscimento legislativo dell’autonomia negoziale della p.a. è avvenuto con la l. n. 241 del 1990, la quale, all’art. 1, comma 1 bis, sancisce in via generale la possibilità per l’amministrazione di porre in essere atti di natura non autoritativa, agendo secondo le norme del diritto privato.

La codificazione della capacità negoziale della p.a. è, chiaramente, un segno del superamento della convinzione in base alla quale sia il provvedimento amministrativo l’unico strumento idoneo alla realizzazione dell’interesse pubblico.

Ciò premesso, l’autonomia negoziale della pubblica amministrazione ha però natura limitata e funzionale: il potere di autonomia privata della p.a., infatti, deve sempre essere esercitato nel rispetto dei principi costituzionali e normativi che governano l’azione amministrativa ed essere diretto al perseguimento del fine di pubblico interesse.

L’attività contrattuale della p.a., dunque, a differenza di quella di qualsiasi altro soggetto privato, non soggiace solo al vaglio della meritevolezza degli interessi ex art. 1322 c.c., andando incontro a più stringenti limiti derivanti dalla finalità di interesse pubblico alla quale la stessa deve essere indirizzata.

Tutti gli enti pubblici, pertanto, godono della capacità giuridica di diritto privato e, nei limiti evidenziati, possono così utilizzare gli strumenti previsti dal diritto comune, tra i quali il contratto.

In relazione al tipo di negozio che può essere stipulato, in passato si riteneva che, a differenza dei privati, le pubbliche amministrazioni fossero tenute ad utilizzare, nello svolgimento della loro attività, solo ed esclusivamente strumenti espressamente previsti  e disciplinati dalla legge, ossia contratti specificatamente tipizzati. Attualmente, invece, si è pervenuti ad una diversa considerazione dell’autonomia negoziale della p.a., la quale, analogamente a qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento, è dotata di una piena e generale autonomia contrattuale in ordine alla scelta del modello contrattuale.

La pubblica amministrazione può dunque utilizzare anche contratti atipici, a condizione che questi siano funzionali alla realizzazione del fine pubblico perseguito. 

I contratti pubblici c.d. passivi, caratterizzati come tali dalla sussistenza di un impegno di spesa in capo all’amministrazione, e tra i quali rientra appunto l’appalto, risultano ad oggi disciplinati dal d.lgs. n. 50 del 2016 (nuovo Codice dei contratti pubblici), il quale va a sostituire la previgente disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 163 del 2006.

Il contratto di appalto pubblico si differenzia notevolmente da quello previsto dal codice civile agli articoli 1655 e seguenti.

Secondo la definizione data dal diritto comune, infatti, l’appalto può riguardare solo il compimento di un’opera o l’erogazione di un servizio e l’appaltante deve essere un soggetto dotato di una propria specifica organizzazione.

Ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 50 del 2016, invece, l’appalto pubblico può avere ad oggetto, oltre che la realizzazione di lavori o la prestazione di un servizio, anche la fornitura di beni. D’altra parte, dal punto di vista soggettivo la fonte normativa citata esclude la sussistenza di un contratto di appalto pubblico tutte le volte in cui ricorrano i presupposti del c.d. in house providing. 

Come emerge dalla definizione legislativa, l’appalto pubblico si distingue, a seconda dell’attività che ne costituisce l’oggetto, in appalto di lavori, appalto di servizi e appalto di forniture. 


1. I vari tipi di appalto pubblico


Vediamo nel dettaglio i vari tipi di appalto pubblico:

  • L’appalto di lavori si concreta in un contratto attraverso il quale si provvede alla progettazione e/o all’esecuzione di un’opera pubblica o di interesse pubblico. Ai sensi dell’art. 3 del nuovo Codice dei contratti pubblici, l’appalto di lavori si concreta nel contratto avente per oggetto l’esecuzione o, congiuntamente, la progettazione esecutiva e l’esecuzione, ovvero, previa acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta, la progettazione esecutiva e l’esecuzione, oppure l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dalla stazione appaltante o dall’ente aggiudicatore, sulla base del progetto preliminare o definitivo posto a base di gara.
  • Si definisce appalto di servizi, invece, quello avente per oggetto la prestazione di un servizio.
  • L'appalto di forniture è quello riguardante l’acquisto, la locazione finanziaria, la locazione o l’acquisto a riscatto, con o senza opzione per l’acquisto, di prodotti.


2. Come avviene la stipulazione del contratto di appalto pubblico


La stipulazione del contratto di appalto pubblico avviene per il tramite di una procedura definita ad evidenza pubblica, la quale assicura all’amministrazione l’individuazione del soggetto più idoneo alla esecuzione della prestazione, in ossequio ai principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, nel rispetto della concorrenza e nella tutela della par condicio tra i singoli concorrenti.

Come chiarito dalla dottrina, l’evidenza pubblica è un modello procedimentale applicabile a ciascuna tipologia di contratto, caratterizzato dalla coesistenza di due differenti procedimenti: 

  • uno attinente alla formazione della volontà della p.a. alla stregua delle norme di diritto comune, 
  • l’altro, costituente un vero e proprio procedimento amministrativo, diretto ad evidenziare l’interesse pubblico sotteso alla fattispecie  negoziale.

Ai sensi degli articoli 32 e 33 del nuovo Codice dei contratti pubblici, le fasi in cui si articola il procedimento ad evidenza pubblica di scelta del contraente sono le seguenti: 

  • l’adozione della determina a contrarre; 
  • la pubblicazione del bando di gara;
  • la selezione dei partecipanti alla procedura di affidamento;
  • l’individuazione del miglior offerente;
  • l’adozione dell’atto di aggiudicazione definitiva, previa verifica della proposta di aggiudicazione; 


Una volta divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, si procede infine alla

sottoscrizione del contratto e all’eventuale sua approvazione. 


3. I criteri di aggiudicazione dell'appalto pubblico


La selezione della migliore offerta tra quelle presentate dai concorrenti avviene, generalmente, mediante l’utilizzo di due differenti criteri: 

  • quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa 
  • quella del prezzo più basso

E’ onere dell’amministrazione specificare il criterio di aggiudicazione nel bando di gara. Salvo i casi espressamente previsti dalla legge, non è consentito l’utilizzo di criteri differenti da quelli menzionati; l’indicazione deve pertanto considerarsi tassativa.

Secondo quanto affermato espressamente dall’art. 95 d.lgs. n. 50/2016, i criteri di aggiudicazione non conferiscono alla stazione appaltante una facoltà di scelta illimitata dell’offerta e devono essere accompagnati da specifiche che consentono l’efficace verifica delle informazioni fornite dagli offerenti al fine di consentire di valutarne il grado di soddisfacimento.

Il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa impone la necessità di valutare tutti gli aspetti dell’offerta, siano essi tecnici o economici, in modo da individuare quella più conveniente attraverso una comparazione tra gli stessi. 

Al contrario, il criterio del prezzo più basso consente di prendere in considerazione solo l’aspetto economico della proposta.

Inizialmente la scelta tra i due criteri di aggiudicazione rientrava nella discrezionalità dell’amministrazione, la quale era libera di applicare il criterio più adeguato in relazione alle caratteristiche dell’oggetto del contratto. 

Il nuovo codice dei contratti pubblici, invece, attribuisce al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa carattere principale, consentendo l’utilizzo di quello che fa riferimento al prezzo più basso solo nei casi tassativamente indicati. Tale criterio, infatti, può essere utilizzato solo per lavori di importo pari o inferiore a 1.000.000 euro, per i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate e per i servizi e le forniture di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria, caratterizzati da elevata ripetitività.

Per servizi e forniture ‘’con caratteristiche standardizzate’’ o ‘’le cui condizioni sono definite dal mercato,, devono intendersi quei servizi e quelle forniture che rispondono a specifiche norme europee o nazionali e che, come tali, non sono modificabili dalla stazione appaltante.

Sono, invece, servizi e forniture ‘’caratterizzati da elevata ripetitività’’ quelli volti a soddisfare esigenze generiche e ricorrenti, i quali necessitano di approvvigionamenti frequenti al fine di garantire la continuità della prestazione.

Come affermato dalla giurisprudenza amministrativa, il fondamento della previsione legislativa che consente di utilizzare, nelle ipotesi indicate, il criterio del minimo prezzo deve essere individuata nell’esigenza di evitare gli oneri che, in termini di tempi e costi, possono conseguire da un confronto concorrenziale basato sul miglior rapporto qualità/prezzo, in presenza di casi in cui i benefici derivanti da tale confronto sarebbero ridotti o addirittura nulli.

Chiaro, infatti, come la standardizzazione della prestazione o la sua elevata ripetitività riducano molto la rilevanza delle caratteristiche tecniche dell’offerta, attribuendo di conseguenza maggiore importanza al prezzo dell’appalto.

Di recente, il supremo consesso amministrativo si è interrogato (sentenza n. 8/2019) in ordine al rapporto intercorrente tra i due criteri di aggiudicazione nell’ipotesi di prestazioni standardizzate (o le cui condizioni siano definite dal mercato) le quali siano caratterizzate anche da alta intensità di manodopera. 

Ci si è chiesti, in particolare, se il rapporto nell’ambito dell’art. 95, tra il comma 3 lettera a) - casi di esclusivo utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tra i quali quello dei servizi ad alta intensità di manodopera - ed il comma 4 lettera b) - casi di possibile utilizzo del criterio del minimo prezzo, tra i quali quello dei servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato - vada incondizionatamente declinato nei termini di specie a genere, con la conseguenza che, ove ricorrano le fattispecie di cui al comma 3, debba ritenersi inderogabilmente applicabile il principio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

A parere dell’orientamento maggioritario, la previsione di cui al comma 3 deve essere considerata inderogabile: in presenza di un servizio ad alta intensità di manodopera va pertanto necessariamente applicato il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Secondo tale interpretazione, infatti, la predetta disposizione introduce, come fatto palese dall’avverbio ‘’esclusivamente’’, una previsione ulteriormente derogatoria rispetto al comma 4, imponendo come esclusivo il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo.

A sostengo della suddetta impostazione si sostiene, in primo luogo, la necessità di conformarsi alle indicazioni fornite dalla legge delega, in un’ottica costituzionalmente orientata. D’altra parte, si dice, opinando diversamente il comma 3 risulterebbe superfluo, in quanto comunque al di fuori delle ipotesi di cui al comma 4, tornerebbe ad operare la regola generale di cui al comma 2.

Di diverso avviso è invece un orientamento minoritario, a mente del quale la norma di cui al comma 3 dell’art. 95 va letta in termini di complementarietà con il successivo comma 4; ove un servizio ad alta intensità di manodopera sia anche ‘’standardizzato,, o ‘’ripetitivo,, allora potrebbe comunque trovare applicazione il criterio del massimo ribasso, sussistendo però a carico dell’amministrazione un obbligo di adeguata motivazione.

Con riguardo ai contratti standardizzati, infatti, non si ricaverebbe alcuna utilità nel procedere ad una autonoma valutazione e valorizzazione degli elementi non meramente economici delle offerte, le quali, essendo subordinate a determinati standard, devono sostanzialmente coincidere tra le varie imprese.

Avv. Riccardo Cuccatto


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