Status di rifugiato tra direttiva e Convenzione di Ginevra
Lo status di rifugiato, nel caso in cui il soggetto richiedente o possidente senta di essere in pericolo di vita nel suo paese di origine, non viene affetto dal mancato riconoscimento dello stesso o dalla sua revoca; lo stesso vale per i diritti che la Convenzione di Ginevra collega a tale status.
Questa è la conclusione a cui è giunta la Corte di giustizia europea esaminando i casi (appartenenti a Belgio e Repubblica Ceca) di un cittadino ivoriano, uno congolese e una persona di origini cecene, i quali si sono visti revocare lo status di rifugiato in base alla norma che ne consegue il mancato riconoscimento o la revoca nel caso in cui la persona rappresenti una minaccia per la sicurezza o sia stata effettivamente condannata per un reato di particolare gravità. Le corti dei due Stati membri esprimono i propri dubbi riguardo la conformità di tale principio (direttiva 2011/95/UE, 13 dicembre 2011) con quanto espresso dalla Convenzione di Ginevra, la quale consente sì il respingimento per i suddetti motivi, ma non prevede la perdita dello status di rifugiato.
Centrale una domanda: la carta dei Diritti fondamentali dell’UE e il TFUE rispettano la Convenzione di Ginevra?
Risponde la Corte di giustizia europea: «fintanto che il cittadino di un paese extra-UE o un apolide abbia un fondato timore di essere perseguitato nel suo paese di origine o di residenza, questa persona dev’essere qualificata come rifugiato ai sensi della direttiva e della Convenzione di Ginevra e ciò indipendentemente dal fatto che lo status di rifugiato ai sensi della direttiva le sia stato formalmente riconosciuto». In questo senso, la direttiva intende il riconoscimento dello status di rifugiato come di natura «meramente ricognitiva e non costitutiva di tale qualità», che porta con sé un insieme di tutele e diritti di cui fanno parte tutti quelli previsti dalla Convenzione di Ginevra e anche altri espressamente specificati dalla direttiva europea.
I motivi per i quali lo status può decadere, poi, non variano tra la direttiva e la Convenzione. Tuttavia, «la direttiva dev’essere interpretata e applicata nel rispetto dei diritti garantiti dalla Carta, i quali escludono la possibilità di un respingimento verso un siffatto paese»; questo perché la Carta vieta «la tortura nonché le pene e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, e l’allontanamento verso uno Stato dove esista un rischio serio che una persona sia sottoposta a trattamenti di tal genere». Gli stessi motivi vengono riconosciuti dal diritto dell’Unione, i quali riconoscono «una protezione internazionale più ampia di quella assicurata dalla citata Convenzione».
In conclusione, la Corte riconosce il fatto che «la revoca dello status di rifugiato o il diniego del riconoscimento non hanno l’effetto di far perdere lo status di rifugiato a una persona che abbia un timore fondato di essere perseguitata nel suo paese d’origine». In questo senso, le disposizioni della direttiva «sono conformi alla Convenzione di Ginevra e alle norme della Carta e del TFUE che impongono il rispetto di tale convenzione».
Emanuele Secco – giuridica.net
Fonti