La locazione al tempo del Coronavirus

In questo momento imprese, professionisti, artigiani e famiglie, oltre ai timori dovuti all’emergenza sanitaria, devono affrontare problemi - non meno impegnativi - di natura economica.Meritano, quindi, una particolare attenzione i c.d. costi fissi, ovvero quelli che restano invariati indipendentemente dal fatto che l'azienda interrompa o meno la produzione, o dal fatto che in una famiglia diminuiscano le entrate.

1. Il problema della locazione e l'Intervento del Governo
2. Strumenti per affrontare il problema 

1. Il problema della locazione e l'Intervento del Governo

In questi costi rientrano i contratti di locazione che rappresentano - con il loro corrispettivo - una delle voci più significative.

Finora non è prevista alcuna moratoria sul pagamento dei canoni e l’unico intervento è stato di natura fiscale con il riconoscimento, per le sole locazioni commerciali, di un credito d’imposta pari al 60% del canone di locazione del mese di marzo (cfr. decreto legge 17/03/20 n.18, c.d. “Cura Italia”).

Pertanto, augurandosi che nel prosieguo vi siano delle correzioni di rotta, ad oggi gli strumenti per affrontare questa difficile situazione sono offerti dal codice civile e dalla L.392/78.

Punto di partenza è il fatto che gli attuali eventi sono riconducibili a una causa di forza maggiore che, per definizione, esclude l’imputabilità dell'inadempimento.

La giurisprudenza ha individuato i requisiti dei provvedimenti ai fini dell'applicazione del rimedio dell'impossibilità sopravvenuta.

È richiesto che:

 

(i) essi siano estranei alla volontà dell'obbligato;

(ii) non siano ragionevolmente prevedibili, secondo la ordinaria diligenza, all'atto dell'assunzione dell'obbligazione e

(iii) il debitore abbia sperimentato tutte le ragionevoli possibilità per adempiere regolarmente.

 

E’ quindi agevole osservare i provvedimenti dettati da interessi generali e di ordine pubblico che rendono impossibile la prestazione indipendentemente dal comportamento dell'obbligato, e tali sono quelli emanati per l’emergenza Covid-19, costituiscono un'esimente della responsabilità del debitore e, dunque, un'ipotesi di forza maggiore (c.d.).

E’ stato poi rilevato che il requisito costitutivo dell'impossibilità ad adempiere – con conseguente applicabilità dell'art. 1256 c.c. – ricorre tutte le volte in cui gli sforzi che il debitore è tenuto a compiere siano tali da mettere in pericolo la propria persona ovvero interessi ritenuti preminenti come la vita, la salute, la moralità, o ancora tali da sfociare nella commissione di un illecito

Quindi l’art.1256 c.c prevede che l'obbligazione si estingua quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventi impossibile, mentre se l'impossibilità è solo temporanea il debitore non è responsabile del ritardo nell'adempimento fintanto che essa perdura.

L'impossibilità che estingue l'obbligazione deve intendersi in senso assoluto e obiettivo e può verificarsi solo quando la prestazione ha per oggetto la consegna di una cosa determinata o di un genere limitato, e non già il pagamento di una somma di denaro.

Alla stregua di tali principi la soluzione, pertanto, non va ricercata nella sopravvenuta impossibilità a corrispondere il canone, quanto nella sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, giacché il conduttore non può, per una causa a lui estranea, usare l’immobile per la ragione per cui lo ha affittato.

A tale riguardo, infatti, la giurisprudenza, con orientamento pressoché univoco, ha sancito che

 

al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. Inoltre, secondo il principio inadimplenti non est adimplendum, la sospensione della controprestazione è legittima soltanto se è conforme a lealtà e buona fede (cfr., per tutte, Cass. n. 261/2008).

 

Nel caso di specie il conduttore continua ad avere la disponibilità dell’immobile ma è venuta meno la possibilità che questa disponibilità realizzi lo scopo perseguito con la stipulazione del contratto.

Quindi, fintanto che perduri il lockdown, il ritardo nel pagamento dei canoni non dovrebbe configurare una responsabilità in capo al conduttore che però, al momento della cessazione dello stato emergenziale, e a seguito della ripresa dell’attività, dovrà provvedere a corrispondere quanto non versato, senza essere tenuto a riconoscere alcun interesse per il ritardo.

Tale (temporanea) soluzione è supportata anche l’art.91 del Decreto “Cura Italia” che, integrando l’art. 3 del DL n. 6 del 23/02/20, prevede il comma 6 bis – da ritenersi applicabile in via analogica a tutti i contratti – del seguente tenore: "il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi versamenti

Pertanto la tempestiva formalizzazione al locatore della decisione di sospendere il pagamento del canone, e delle relative motivazioni, potrebbe frenare la proprietà dall’assumere iniziative contro il conduttore e dare a quest’ultimo un po' di respiro.

Stiamo, dunque, immaginando una moratoria condivisa con la proprietà in quanto abbiamo visto che, ai sensi dell’art. 1587 c.c., il pagamento del canone non può essere sospeso (o ridotto) qualora si verifichi una diminuzione nel godimento del bene, ma solo quando venga a mancare la controprestazione del locatore, qui invece sussistente.

Nella fattispecie ad essere impossibile (verrebbe da dire parzialmente, posto che trattasi di impedimento temporaneo) è l’esercizio dell’attività commerciale (o professionale) e non il pagamento del corrispettivo stabilito.

Inoltre questa ipotetica moratoria può essere ipotizzata soltanto per le locazioni ad uso diverso, mentre per quelle ad uso abitativo – al netto di eventuali futuri interventi governativi – il pagamento del canone sarà sempre dovuto visto che la disponibilità dell’immobile, che rappresenta lo scopo perseguito con la stipulazione del contratto, permane e si realizza anche nella situazione di emergenza.

 

2. Strumenti per affrontare il problema 

Resta il fatto che la sospensione nel pagamento del canone – per l’intero o solo per una quota parte ex art.1464 c.c. (<< quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione >>) - è una soluzione valida fino al permanere del lockdown, terminato il quale il conduttore potrà riprendere la propria attività immutati, tuttavia, i problemi di natura economica sopra accennati.

In altre parole, una volta rimossa la causa di impossibilità della prestazione il debitore è tenuto ad adempiere salvo quanto previsto al secondo comma dall’art.1256 (obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla

Ma allora il contratto di locazione deve continuare sulla base delle pattuizioni inziali come se nulla fosse accaduto?

Sul punto, qualora il conduttore intenda proseguire nel rapporto, soccorre il principio generale di buona fede e correttezza in base al quale ciascuna parte deve tenere quelle condotte che, seppur non disciplinate da specifiche previsioni contrattuali, sono idonee a preservare gli interessi dell'altra, “nei limiti di un apprezzabile sacrificio, quando ciò sia necessario per salvaguardare l'utilità del contratto per la controparte" posto che è "dovere di ciascuna delle parti contrattuali tutelare l'utilità egli interessi dell'altra, nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile sacrificio di altri valori”cfr., tra le più recenti, Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2018 n. 16823)

In altre parole, mediante gli artt. 1175(<< Il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza >>) e 1375 c.c. (<< Il contratto deve essere eseguito secondo buona fede >>) le parti – e, si spera in subordine, il giudice possono individuare in maniera più adeguata il contenuto del singolo rapporto obbligatorio, con l'estrapolazione di obblighi collaterali (di protezione, di cooperazione, di informazione), che, in relazione al concreto evolversi della vicenda negoziale, vanno ad individuare la regula iuris effettivamente applicabile e a salvaguardare la funzione obbiettiva e lo spirito del regolamento di interessi che le parti hanno inteso raggiungere nel momento in cui hanno sottoscritto il contratto.

In ossequio a tali principi ogni contratto a prestazioni corrispettive, come è quello di locazione, deve mantenere un apprezzabile equilibrio nei rapporti di forza tra le parti, suscettibile di valutazione economica.

A conferma di ciò l’art. 1467 c.c, prevede, pertanto, che

 

nei contratti a esecuzione continuata o periodica… se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa (il pagamento del canone) per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili (il Covid-19) la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto...;

 

e l’altra parte può evitarla offrendo una modifica atta a ricondurlo a equità.

Detta norma introduce la possibilità di una revisione del contratto, e regola proprio le conseguenze delle sopravvenienze imprevedibili che determinano l'eccessiva onerosità della prestazione, nel quadro del rimedio risolutorio e, in via sussidiaria ma non meno importante ai nostri fini, di quello conservativo.

E’ vero, tuttavia, che il procedimento previsto contempla una sequenza determinata: l'onerato non può ottenere coattivamente l'equa modificazione delle condizioni contrattuali, ma solo proporre la domanda di risoluzione e rimettersi all'offerta di riconduzione ad equità dell'altra parte.

Solo la parte avvantaggiata ha facoltà di fare l'offerta ed ottenere una sentenza costitutiva modificativa del contratto tale da ricondurre lo scambio ad equità, ma non è vincolata in tal senso.

Al giudice non spetta per legge un analogo potere di procedere d'ufficio.

Uno schema simile si rinviene nell’art.1623 c.c. in tema di modificazioni sopravvenute nel rapporto di affitto: “Se, in conseguenza di una disposizione di legge, di una norma corporativa o di un provvedimento dell'autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio, può essere richiesto un aumento o una diminuzione del fitto ovvero, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto

Significativa è anche la regola contenuta nell'art. 1710 c.c., che impone al mandatario di rendere note al mandante le circostanze sopravvenute che possano determinare la revoca o la modificazione del mandato: segno che al mandante è riservata appunto la possibilità di modificare in tal caso il contenuto del contratto.

Quindi nell’attuale situazione di straordinarietà e di necessità la disciplina civilistica offre a conduttore e locatore gli strumenti per rinegoziare l’ammontare del canone di locazione e proseguire il rapporto contrattuale su presupposti economici diversi.

Tuttavia una richiesta di riduzione e/o di sospensione del canone, sebbene confortata dai principi sottesi dalle norme appena richiamate, necessita di un riscontro positivo della proprietà giacché, in mancanza, l’alternativa è un contenzioso giudiziale dagli esiti per nulla scontati.

In estrema sintesi la possibilità di rinegoziare un contratto di locazione in presenza del mutamento delle circostanze esterne è riconducibile, da un lato, al principio di buona fede contrattuale e, dall'altro, ad un'interpretazione per così dire evolutiva di quanto prevede l'art. 1467 c.c.

 

Altra ragione idonea a giustificare la rinegoziazione deriva da un principio di efficienza economica, ovvero che è più funzionale il sistema che consente la traslazione del rischio in capo al beneficiario finale della prestazione mentre a quest’ultimo rimane la scelta se mantenere o meno in vita il contratto adeguato alle nuove circostanze.

Va poi precisato che la possibilità di un riadeguamento del contratto fissato coattivamente sconta difficoltà quasi insormontabili, non fosse altro per la scarsa propensione dei giudici ad una tale forma di intervento e comunque per il rischio della sovrapposizione di un'idea personale di adeguamento a quella fatta propria dalle parti al momento della contrattazione, che probabilmente verrebbe giustificata in base ad un concetto di equità difficilmente intellegibile.

Non è un caso, infatti, che a proposito della riconduzione ad equità ex art. 1467 c.c. la giurisprudenza abbia affermato che il giudice non sia tenuto a ristabilire esattamente l'equilibrio voluto dai contraenti, essendo semmai sufficiente che riconduca il rapporto << in una dimensione sinallagmatica tale che, se fosse sussistita al momento della stipulazione, la parte onerata non avrebbe avuto diritto di domandare la risoluzione >>

 

Il giudice, pertanto, non può sostituirsi in alcun modo alle parti nel ridefinire il contenuto del contratto di locazione: il suo intervento del giudice è limitato solo a verificare se vi sono i presupposti per dichiarare la risoluzione del contratto o la sua riconduzione a equità laddove la stessa, occorre ribadire, sia stata offerta dalla parte contro la quale è proposta la domanda (ovvero la proprietà).

Naturalmente resta la possibilità di uno scioglimento del vicolo contrattuale con il recesso per gravi motivi previsto dall’art. 27 della L. 392/78, ovvero per quei fatti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da rendere oltremodo gravosa la prosecuzione del rapporto di locazione.

 

In tal caso si dovrà rispettare il termine di preavviso (in genere 12 mesi).

 

In alternativa, come già accennato, il conduttore potrà richiedere la risoluzione del contratto per l’eccessiva onerosità sopravvenuta (ex art. 1467 c.c.), mentre molto più ardua risulta essere la richiesta di risoluzione del contratto per impossibilità della prestazione (ex art. 1456 c.c.).

Quale che sia l’opzione prescelta, il suggerimento è quello di intraprendere un percorso che agevoli una soluzione concordata nell’interesse di entrambe le parti e, in tale senso, qualora le parti non riescano a giungere ad una soluzione condivisa, vale la pena rammentare che il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28 ha sancito la necessità della mediazione finalizzata alla conciliazione per chi intende rivolgersi al giudice in caso di controversie sorte in una serie di materie, tra cui è compresa la locazione.

La mediazione civile e commerciale consiste – in estrema sintesi – nell’attività, svolta da un terzo imparziale in un ambito riservato, e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia.

La mediazione, diversamente da un giudizio, offre alle parti la possibilità di trovare insieme un accordo su basi diverse.

 

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Avvocato Lorenzo Falappi

Lorenzo Falappi