L’handicap e il trasferimento di sede
Nel seguente articolo, verrà analizzato ove è possibile ricorrere in giudizio a causa di un trasferimento di sede per un soggetto che assiste un parente convivente gravemente invalido.
Nella sentenza n. 76/2018 del Tribunale di Bologna, un agente di polizia ricorre in giudizio contro la sua Amministrazione.
Il soggetto in questione lamenta di essere stato trasferito in un luogo più distante dalla propria abitazione, così determinando gravi problematiche in merito alla necessaria e continua assistente di cui la zia paterna convivente, gravemente invalida, necessita.
La sua richiesta verte, quindi, sul reintegro nella precedente posizione lavorativa.
Primariamente va analizzata la legge n. 104/1992, al cui art. 33 sancisce che «il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicino al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede».
Acclarato che lo stato di handicap è grave, va ora capito quale sia il grado di discrezionalità in capo all’amministrazione del caso di specie. La resistente ha allegato le ragioni organizzative del trasferimento connesse con l'esigenza di adibire alle postazioni telefoniche personale inidoneo ai servizi esterni, proprio come il ricorrente in questione. Non solo, la ricorrente ha anche allegato le prove documentali che attestano che nel lavoro in questione è prevista una flessibilità di 30 minuti in entrata e in uscita, con la possibilità di un duttilità ancora maggiore in presenza di particolari e determinate esigenze del lavoratore.
Tenendo a mente che nella sentenza n. 24015/2017 della Cassazione si evidenzia come il trasferimento, ex art. 33 della legge 104/1992, attribuisce un diritto che, in virtù dell'inciso secondo il quale esso può essere esercitato «ove possibile» e in applicazione del principio del bilanciamento degli interessi, non può essere fatto valere qualora il suo esercizio leda in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative dell' azienda, il giudice non può che rigettare le richieste del ricorrente.
Per completezza, va aggiunto che risulta mancante anche la prova del pregiudizio derivante dal trasferimento in una nuova sede di lavoro, in quanto la distanza tra la nuova sede e l'abitazione del ricorrente non è tale da arrecare maggiori difficoltà nella cura della zia paterna disabile. Difatti, la distanza tra la nuova sede di lavoro e l'abitazione del ricorrente è di 36 km, con un tempo di percorrenza in auto di 46 minuti; mentre la distanza con la precedente sede di lavoro era di 20 km, per un tempo medio di percorrenza in auto di 30 minuti.
È palese come un quarto d’ora di differenza quotidiana non possa causare un pregiudizio così grave da privare l’Amministrazione della discrezionalità riconosciutagli.
Michel Simion, Giuridica.net
Leggi il testo integrale – Tribunale di Bologna, sentenza n. 76/2018