Insultare su facebook è diffamazione. Cosa si rischia?
Commenti offensivi, espressioni offensive, denigratorie o comunque lesive della dignità altrui su Facebook è reato di diffamazione. Vediamo nel dettaglio quali sono i rischi e le sanzioni previste.
- Reato di diffamazione: quando si configura su facebook?
- Reato di diffamazione: facebook come mezzo di pubblicità
- Diffamazione su facebook: rischi e sanzioni
- Reato di diffamazione: come difendersi dalla diffamazione su facebook?
- Diffamazione su facebook: cosa dice la giurisprudenza?
1. Reato di diffamazione: quando si configura su facebook?
L’articolo 595 del Codice Penale offre tutela all’integrità morale, ovvero all’onore e al decoro del singolo. Con questa espressione si fa riferimento a quel bene giuridico composto dalla reputazione della persona, dalla stima di cui essa gode nell’ambiente sociale e dell’opinione che gli altri hanno verso di essa.
Più in generale, affinché possa configurarsi il delitto di diffamazione, occorre che:
- risulti indicato il soggetto al quale le espressioni lesive fanno riferimento. Tale riferimento non deve necessariamente ricomprendere il nome proprio, ovvero il cognome della vittima, in quanto la giurisprudenza ha da tempo affermato che risultano sufficienti anche meri indizi, quali riferimenti all’aspetto fisico ad esempio, che comunque comportino la certa identificazione della vittima nel cerchio delle sue conoscenze;
- la consapevolezza della propria condotta, ovvero la volontà di ledere, con le proprie affermazioni, la sfera morale di un altro soggetto;
- la condotta deve riguardare più persone, nel senso che le affermazioni offensive devono essere comunicate ad almeno altre due o più persone (diverse dal soggetto leso), in alternativa è stata ritenuta sufficiente la consapevolezza che le affermazioni diffamatorie potrebbero essere condivise senza alcun potere di controllo da parte del perpetratore.
D’altro canto, la giurisprudenza, riconosce anche alcuni specifici casi nei quali, seppur in presenza di affermazioni offensive, il reato di diffamazione non viene a sussistere perché:
- si risponde ad una provocazione;
- si esercita il diritto di critica (nei limiti di verità, continenza e pertinenza).
In tali casi, secondo diverse pronunce giurisprudenziali, non viene applicata alcuna sanzione in quanto il comportamento è “scusato” dalle circostanze.
Con lo sviluppo dei social networks e il sempre più diffuso utilizzo della piattaforma facebook, si è posto il problema dell’assimilazione al delitto di diffamazione, nei termini anzi poco detti, anche alla circostanza di commenti offensivi diffusi e condivisi attraverso internet.
Sul punto, la giurisprudenza degli ultimi anni si è sviluppata nel senso di inquadrare anche la condotta di chi pubblica frasi offensive sui social nel delitto di diffamazione.
Secondo i Giudici, infatti, l’imputazione fa riferimento alla trasmissione di espressioni diffamatorie a più persone, pertanto, la pubblicazione di contenuti su una piattaforma come facebook costituisce, senza dubbio, una forma di comunicazione capace di integrare il reato di cui trattasi poiché indirizzata ad un numero indeterminato di persone.
2. Reato di diffamazione: facebook come mezzo di pubblicità
Nel caso di commenti e/o status pubblicati su facebook, ovvero altri social networks, la giurisprudenza non solo riconosce l’applicabilità dell’art. 595 del Codice Penale, ma prevede che ad esso sia riconosciuta l’aggravante di cui al comma 3, che riguarda l’utilizzo del “mezzo stampa o altri mezzi di pubblicità”.
Nello specifico, la giurisprudenza di legittimità, ha riconosciuto alla diffamazione attraverso facebook l’aggravante di cui al comma 3 suddetto, in quanto considerato un mezzo di pubblicità, escludendo, invece, di qualificarlo come mezzo stampa.
Se, infatti, da un lato i social networks sono improntati alla comunicazione tra un numero indeterminabile di persone con la finalità espressa di una costante socializzazione tra gli stessi, dall’altro non può dirsi che tali mezzi di comunicazione rientrino nel significato più ampio ed
evolutivo di stampa.
Quest’ultima non può che riguardare solo ed unicamente un’informazione professionale, trasmessa attraverso testate giornalistiche che diffondono informazioni, anche online e in modo spontaneo, ma sempre deputate allo scambio delle informazioni stesse.
I social networks come facebook, al contrario, hanno come scopo primario le relazioni interpersonali attraverso servizi di messaggistica istantanea e forum e, pertanto, rientrano, tra i “qualsiasi altro mezzo di pubblicità” citati dalla norma.
3. Diffamazione su facebook: rischi e sanzioni
Che cosa si rischia in concreto? Trattandosi, come detto, di diffamazione, le pene sono quelle dettate dal Legislatore nel Codice Penale.
E, perciò, a norma dell’art. 595 del Codice Penale:
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.”
Come detto, nel caso di diffamazione a mezzo facebook, si applica l’aggravante di cui al comma 3:
“Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.”
Inoltre, per il comma 4: “Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
In tal senso sono molte le sentenze, anche della Corte di Cassazione, che si sono ormai pronunciate nel senso di applicare le pene suddette.
Pertanto, e in conclusione, chiunque pubblichi su Facebook (o qualunque altro social network) espressioni offensive, denigratorie o comunque lesive della dignità altrui, rischia la reclusione fino ad un anno o una multa fino a 1.032 euro. Multa che, nel caso venga attribuito alla persona offesa uno specifico episodio o una condotta determinata, può arrivare ad euro 2.065.
4. Reato di diffamazione: come difendersi dalla diffamazione su facebook?
In primo luogo, in caso di diffamazione su un social network, si può segnalare il perpetratore delle offese e chiederne il blocco alla piattaforma.
Successivamente, si potrà sporgere querela per diffamazione, presso i Carabinieri (o la Polizia Postale). Si segnala, in quest’ultimo caso, il termine previsto a pena di decadenza, che è pari a 3 mesi.
In merito al momento da cui decorre detto termine, la giurisprudenza ha indagato se esso fosse dalla pubblicazione del contenuto o dall’avvenuta conoscenza da parte della persona offesa. Secondo alcune pronunce di merito, la decorrenza del termine ha inizio nel momento in cui la persona offesa viene a conoscere le espressioni ingiuriose, il quale può anche non coincidere col momento della pubblicazione.
In senso opposto, invece, si è pronunciata la Cassazione, per la quale si deve tenere conto del momento in cui le affermazioni diffamatorie divengono raggiungibili e fruibili dai terzi e, quindi, dal momento della pubblicazione.
Uniche eccezioni, in cui il momento da cui decorre il termine può divenire quello dell’avvenuta conoscenza, si configura nel caso in cui l’interessato dimostri che, fra i due momenti, sia trascorso un arco temporale significativo ovvero l’oggettiva impossibilità di stabilire il momento della pubblicazione.
5. Diffamazione su facebook: cosa dice la giurisprudenza?
In materia di diffamazione su facebook, di recente, è intervenuta anche la Corte di giustizia europea, la quale si è pronunciata su un caso avente ad oggetto un commento diffamatorio ai danni di una deputata alla Camera dei rappresentanti del Parlamento austriaco. Tale commento era stato condiviso assieme ad un articolo di giornale riguardante la deputata stessa.
Pertanto, la deputata ne chiedeva la rimozione immediata e, di fronte, all’inottemperanza di facebook, chiedeva che la rimozione di quel commento e di tutti quelli identici o equivalenti fosse intimata al social dal Tribunale. La richiesta veniva accolta in primo grado ed il materiale reso inaccessibile in Austria.
Tale decisione veniva confermata anche in appello, ma con una precisazione: la diffusione doveva cessare solo con riferimento alle espressioni diffamatorie equivalenti portate a conoscenza di facebook da parte della ricorrente o di terzi.
La Corte Suprema, su richiesta della ricorrente, riteneva che fosse possibile intimare alla piattaforma la rimozione di tutte le affermazioni lesive e di quelle identiche ed equivalenti, imponendo l’onere del monitoraggio a facebook, a prescindere dalla segnalazione da parte di soggetti terzi.
Tuttavia, rimandava la causa alla Corte di giustizia europea, chiedendo se fosse ammissibile, in base alle norme europee ed in particolare all’articolo 15 della direttiva 2000/31, la rimozione non solo delle informazioni illecite, ma anche di altre informazioni identiche ed equivalenti e se tale rimozione potesse essere imposta anche a livello mondiale.
Ebbene, la Corte ha affermato la responsabilità di facebook per non aver provveduto immediatamente a cancellare il contenuto illecito del quale era a conoscenza a seguito della segnalazione della ricorrente. In secondo luogo, pur precisando che, l’articolo 15 della direttiva 2000/31, vieta l’imposizione di obblighi generali di monitoraggio, la Corte ha affermato che non c’è divieto di imposizione di obblighi di controllo di contenuti specifici.
Pertanto, oltre alla rimozione del contenuto lesivo può essere imposta la rimozione di contenuti identici o equivalenti purché contengano elementi specifici debitamente individuati dall’autore dell’ingiunzione, quali il nome della persona interessata, le circostanze in cui è stata accertata la violazione, nonché un contenuto equivalente a quello dichiarato illecito.
Infine, le norme richiamate, secondo la Corte possono essere applicate a livello mondiale purché vengano rispettati e correttamente bilanciati diritti fondamentali quali la libertà di espressione.
Fonti normative
Codice Penale: articolo 595.
Direttiva 2000/31: articolo 15 direttiva e-commerce
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