Grecia: un monaco può fare l’avvocato?
La legislazione greca non può vietare a un monaco che possiede il titolo di avvocato conseguito in un altro Stato membro di iscriversi all’albo degli avvocati, nemmeno nel caso in cui si preveda l’incompatibilità tra lo status di monaco e avvocato. Questo è quanto si evince dalla causa C-431/17.
Il caso
Il caso in questione riguarda un monaco del monastero di Petra (Grecia), il quale nel 2015 ha chiesto di essere iscritto al registro speciale del Foro di Atene in seguito al conseguimento della qualifica di avvocato a Cipro. Il consiglio dell’Ordine degli avvocati di Atene, esaminata la domanda, ha deciso di rifiutare, in quanto la legge greca prevede l’incompatibilità tra gli status di avvocato e di monaco; incompatibilità che, secondo il consiglio dell’ordine, vale anche per coloro i quali conseguono il titolo professionale in un altro Stato.
Il monaco non si è arreso e ha presentato il suo caso dinnanzi al Consiglio di Stato greco. Quest’ultimo ha rivolto il suo interrogativo alla Corte di giustizia europea: un simile divieto può essere conforme al diritto dell’Unione?
In risposta viene citata la direttiva 98/5/CE, il cui scopo è proprio quello di facilitare l’esercizio della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui si è conseguito il titolo; alla base vi è una procedura di riconoscimento reciproco dei titoli professionali. L’iscrizione dell’interessato presso l’autorità risiedente nello Stato membro ospitante, ricorda la Corte, può essere subordinata solo alla presentazione dell’attestato di iscrizione all’equivalente autorità dello Stato membro d’origine. Il legislatore nazionale ospitante, in questo senso, non può aggiungere altro vincolo all’iscrizione.
Occorre, comunque, operare una distinzione: una cosa è l’iscrizione presso l’autorità dello Stato ospitante, un’altra è l’esercizio della professione; quest’ultimo deve sottostare a regole e norme professionali applicate dal singolo Stato membro. La norma deontologica non è (ancora) stata oggetto di armonizzazione, il che vuol dire che possono crearsi delle disarmonie tra quella dello Stato di origine e quella dello Stato ospitante. Tuttavia, le regole formulate dal legislatore nazionale devono essere conformi al diritto dell’Unione, ovvero rispettare un principio di proporzionalità, il quale implica che esse non eccedano quanto necessario al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. In questo caso spetta al Consiglio di Stato greco verificare quanto appena affermato, così da risolvere l’incompatibilità evidenziata. Il divieto greco entra in contrasto con la direttiva 98/5/CE.
In Italia
Per quanto riguarda il nostro Paese, il D.Lgs. 2 febbraio 2001 stabilisce quanto già sancito dalla direttiva 98/5/CE. Tuttavia, per poter ottenere il titolo di avvocato, e quindi esercitare in pieno la professione, deve superare un periodo di tre anni durante il quale:
- viene iscritto nella sezione dell’albo dedicata ai c.d. avvocati stabiliti;
- «nello svolgere attività giudiziale deve agire di intesa con un professionista dello Stato ospitante abilitato a esercitare la professione con il titolo di avvocato, non sussistendo invece alcuna limitazione rispetto all’attività stragiudiziale»;
- «per poter esercitare innanzi alla Corte di Cassazione ed alle altre giurisdizioni superiori, oltre a dover agire d’intesa con un professionista dello Stato ospitante, deve dimostrare di aver esercitato la professione nella Comunità europea per almeno 12 anni, compresi quelli eventualmente già esercitati come avvocato stabilito»;
- «deve rispettare le norme legislative, professionali e deontologiche dettate dall’ordinamento italiano»;
- «non può avvalersi del titolo di avvocato italiano»;
- «deve sottostare al potere disciplinare del competente Consiglio dell’Ordine».
Emanuele Secco – giuridica.net