Danno terminale e tempo: valido anche se la vittima muore dopo un’ora
Cosa incide sul risarcimento o meno di un danno terminale? È sostanzialmente una questione di tempo. Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 26727/2018, grazie alla quale si sono definiti dei criteri utili alla valutazione del caso.
Danno terminale e danno tanatologico
Una buona definizione di danno terminale si può reperire nella sentenza di Cassazione n. 1530/2015 (Sezioni Unite), nella quale si era deciso di escludere la risarcibilità del danno tanatologico nella circostanza in cui il soggetto perdesse la vita immediatamente o, comunque, in un breve lasso di tempo dall’evento traumatico. La causa sarebbe la venuta meno del soggetto stesso nel momento in cui scatta il credito risarcitorio.
Il danno tanatologico entra in gioco quando l’illecito è ai danni del bene vita. Indipendente dal bene salute, in caso di sua perdita non può esserci una traduzione nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento agli eredi. Il motivo sta nella funzione del risarcimento: esso è riparatorio, non certo sanzionatorio.
Il danno terminale, invece, scatta nel momento in cui la vittima percepisce su di sé il danno che la porterà alla morte, quella che si può definire “consapevolezza di morire”. Oltretutto, nel caso in cui tra la lesione e il decesso sia passato «un apprezzabile lasso di tempo» ed entrasse in gioco uno stato di sofferenza psichica, si potrebbe parlare di danno catastrofico (o catastrofale); circostanze confermate dalla Cassazione in svariate sentenze (si vedano, per esempio, la n. 15395/2016 e la 23183/2014).
La nozione di «apprezzabile lasso di tempo», come è facile intuire, è ancora oggetto di dibatto e non uniformità. Quando il periodo di tempo può essere considerato «apprezzabile» affinché i familiari della vittima possano reclamare quanto gli spetta di diritto? Non è ancora ben chiaro: ci sono state volte in cui è stata esclusa la risarcibilità per il trascorrere di un giorno o pochissimi giorni, in altri sono bastate poche ore o frazioni di esse.
Commento della sentenza n. 26727/2018
La sentenza n. 26727/2018 va a chiarire proprio l’aspetto temporale, fissando qualche criterio utile giudicando il caso dei congiunti di un ciclista morto in seguito a un sinistro stradale. Tra i danni richiesti, figurava il danno terminale in quanto il decesso della vittima era avvenuto poche ore dopo l’incidente.
In primo grado e in appello, il danno non era riconosciuto: entrambe le corti avevano giudicato che il ciclista fosse morto nell’immediatezza dell’evento. I giudici di Cassazione, invece, hanno bocciato la sentenza di secondo grado, considerando il fatto che la vittima era rimasta cosciente per ben tre ore dopo l’incidente, e ben conscia del fatto che sarebbe morta; circostanza emersa dalla dichiarazione di un testimone.
Il giudizio della Cassazione va in una sola direzione: nel caso in cui tra l’evento lesivo e la morte intercorra anche un minimo lasso di tempo in cui si prova che la vittima è cosciente della sicura morte, il danno terminale va risarcito; tutto ciò nel pieno rispetto della dignità umana per quanto stabilito dall’art. 2 della Costituzione. Il danno non patrimoniale, quindi, «sussiste ineludibilmente sia sotto il profilo stricto sensubiologico sia sotto il profilo morale».
Emanuele Secco, Giuridica.net
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