Concedere un giorno di festa ai solo fedeli è discriminazione
La questione riguardante i giorni festivi è annosa e infiamma il dibattito politico più becero.
Numerosi i casi in cui, per sostenere il fondante ruolo della religione sul nostro modo di vivere, oltre alla snervante questione riguardante albero di Natale e presepe, si avanza l’ipotesi che chi non crede nel cattolicesimo dovrebbe lavorare durante le feste comandate a sfondo religioso.
Sebbene a prima vista l’argomentazione può sembrare corretta, non c’è niente di più sbagliato. Prevedere un caso tale, infatti, introdurrebbe una disparità di trattamento che si tradurrebbe in una discriminazione fondata sulla religione, la quale viene vietata a partire dalla nostra Costituzione per sfociare, infine, nel diritto dell’Unione Europea.
La disparità di trattamento tra fedeli e non fedeli
Uno degli ultimi casi esaminati dalla Corte di giustizia europea è quello di un lavoratore austriaco, impiegato presso un’agenzia di investigazioni private, il quale sostiene di essere stato privato dell’indennità per il Venerdì Santo (3 aprile 2015) passato al lavoro mentre i colleghi credenti erano a casa per godersi il giorno di festa.
Questo perché la legge austriaca consente di retribuire con indennità una festa comandata a sfondo religioso solo agli appartenenti alle Chiese che credono in tale festività, nel caso di specie si tratta degli appartenenti alla Chiesa evangelica di confessione Augustana ed elvetica, la Chiesa vetero-cattolica e la Chiesa evangelica metodista.
Lo scopo di tale norma è quello di permette che questi soggetti possano celebrare liberamente il giorno di festa, così da assolvere gli obblighi legati alla religione, senza dover concordare un giorno di ferie col datore di lavoro.
Vista la controversia sottoposta, l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema austriaca) ha interrogato la Corte di giustizia europea evidenziando il contrasto della normativa locale col divieto di discriminazioni basate sulla religione previsto dal diritto dell’Unione.
La sentenza
I giudici della Corte europea hanno risposto con sentenza C-193/17, dichiarando che «una siffatta normativa non può essere giustificata quale misura necessaria alla prevenzione dei diritti e delle libertà altrui né quale misura specifica diretta a compensare svantaggi correlati alla religione».
Una soluzione per ripristinare l’eguaglianza del diritto, fino al momento in cui la normativa austriaca non si adeguerà a quella europea, può tradursi nell’obbligo, per il datore di lavoro, «di accordare anche agli altri suoi lavoratori il diritto a un giorno festivo il venerdì santo, purché questi ultimi abbiano chiesto in anticipo a detto datore di lavoro di non dover lavorare quel giorno».
Questo anche in virtù del fatto che la normativa vigente, prevedendo tale tipologia di festività, non prevede alcuna subordinazione all’assolvimento degli obblighi religiosi. Il lavoratore credente, infatti, viene considerato tale solo in modo formale, ma non è dato sapere come impiegherà la festività retribuita con l’apposita indennità.
Quanto stabilito dalla Corte di giustizia, invece, ripristinerebbe la parità di trattamento.
Emanuele Secco, Giuridica.net
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