Contributi e cittadinanza: il caso di Adro
Sono tempi duri per il principio di uguaglianza. Pilastro fondamentale della nostra società e delle democrazie in genere sancito dall’art. 3 della Costituzione.
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.»
Un principio per la cui formulazione si è dovuti passare attraverso il tunnel buio di una dittatura il cui punto più basso – ma solo a poca distanza da altri – fu la promulgazione delle leggi razziali. In questo senso, l’art. 3 continua specificando che «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Ho voluto citare per intero il principio di uguaglianza, in quanto è molto utile per capire il caso esaminato dalla Cassazione con sentenza n. 16048/2018 del 18 giugno. Protagonista della vicenda è il Comune di Adro (BS), già noto alla cronaca per uno spasmodico leghismo già espresso in vari modi (uno di questi era aver tappezzato la scuola con i simboli del partito).
Il caso
Nel 2009, il Comune lombardo ha introdotto un contributo che aiutasse le famiglie non abbienti a pagare il canone di locazione. Iniziativa meritoria, certo, ma destinata ai soli cittadini italiani.
Il Tribunale di Brescia ha subito accolto il ricorso presentato dai cittadini stranieri, riconoscendo la palese natura discriminatoria della norma. Nel corso del giudizio, però, il Comune non ha indugiato a distribuire la somma stanziata ai soli cittadini italiani.
Vista la situazione, il Tribunale disse che avrebbe sì riconosciuto la somma attribuita, ma solo se lo stanziamento fosse stato fin da subito diviso tra italiani e stranieri. Questo perché ai cittadini italiani, ricevendo per primi il contributo, era stata riconosciuta una cifra maggiore di quella attribuita ai cittadini discriminati (i quali sono stati inseriti tra i beneficiari solo a seguito del giudizio).
I cittadini stranieri, vista la situazione, hanno deciso di rivolgersi alla Corte d’Appello di Brescia, la quale ha riconosciuto il ricorso affermando che doveva spettare loro la stessa cifra elargita ai cittadini italiani, indipendentemente che i fondi stanziati si fossero esauriti o meno.
Senza aspettare la decisione, il Comune aveva già avviato la procedura di recupero dei fondi stanziati ai cittadini italiani per pagare quanto spettava agli stranieri. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, però, affermò l’irreperibilità di tali cifre.
A questo punto il Comune di Adro ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello, sostenendo che l’ente locale ha comunque il potere di decidere le modalità con cui ripristinare la parità di trattamento. In questo senso è del tutto legittimo non riuscire a trovare i fondi per parificare il trattamento.
Com’è facile immaginare, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando quanto già sostenuto dalla Corte d’Appello: non esiste «un potere discrezionale dell’amministrazione di rideterminare il contributo al ribasso una volta che i fondi stanziati erano già stati interamente erogati».
Un caso che, senza alcun dubbio, rientra nella definizione di “inutile lungaggine”. Una spesa inutile per i cittadini, un motivo di scontro sociale. Il tutto perché a una certa politica, eletta in regime democratico, va stretto il cardine che più rappresenta la democrazia: il principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione.
Emanuele Secco, Giuridica.net
Fonti
https://www.asgi.it/discriminazioni/affitti-adro-cassazione-discriminazione/