Commento a sentenza 224/2018 del Tribunale di Verona
La sentenza 224/2018 del Tribunale di Verona ha oggetto i contributi versati da un soggetto nella Cassa nazionale di assistenza e previdenza forense.
In particolare, la ricorrente vuole vedersi riconosciuto il diritto di omettere il pagamento dei contributi alla Cassa, poiché non le sarebbe prospettabile, in futuro, l'acquisizione del trattamento pensionistico, in quanto lavora stabilmente a Monaco di Baviera come dipendente presso una società multinazionale americana.
Quanti anni sono necessari affinché il soggetto possa usufruire del trattamento pensionistico astrattamente previsto?
L’articolo 8 del regolamento della Cassa, sancisce che l’avvocato debba maturare almeno cinque anni di contribuzione al fine di accedere alla pensione di vecchiaia.
Preso atto che la ricorrente è stata iscritta all’Albo dell’Ordine degli Avvocati di Verona per meno di due anni, di primo acchito non sembrerebbe errato ritenere che il versamento dei contributi sia a vuoto. Non potrebbe inoltre venire in essere il presupposto contributivo per accedere alla pensione, che richiede almeno, come suddetto, cinque anni di contribuzione.
In realtà, analizzando meglio la questione, è evidente come nulla vieti che la ricorrente, così come ha deciso di trasferirsi all’estero e di svolgere un lavoro dipendente, possa allo stesso modo ritornare sui suoi passi e tornare ad esercitare la professione legale. Ciò è reso possibile sommando astrattamente i suoi anni pregressi ai nuovi anni lavorativi, potendo eventualmente superare la soglia di cinque anni richiesti per l’accesso al trattamento pensionistico.
Non solo: l'articolo 4 del Regolamento Generale della Cassa Forense, entrato in vigore il 31.10.2004, modificando la precedente disciplina di cui all' art. 21 della legge 576/1980, ha sancito l’irripetibilità dei contributi versati.
Sebbene vi furono, e vi siano, feroci critiche di illegittimità costituzionale, che non manca di sollevare anche la presente ricorrente, la Cassazione ha già chiarito come l’articolo 4 di tale regolamento non leda affatto diritti quesiti: da un lato l’abrogazione della restituzione dei contributi è stata sostituita con un trattamento pensionistico comprendente nuove modalità di calcolo di tipo contributivo.
Inoltre, l’iscritto alla Cassa Forense ha la facoltà di continuare a versare i contributi sino alla maturazione del trattamento pensionistico di tipo retributivo; è una sua legittima scelta quella di interrompere il versamento ma, ovviamente, è giusto e doveroso che se ne assuma le conseguenze.
Sulla stessa lunghezza d’onda la Corte Costituzionale, 30 marzo 2018 numero 67, secondo cui «L' abbandono di un sistema interamente disciplinato dalla legge, dopo la trasformazione della Cassa in fondazione di diritto privato, nonché l' apertura all' autonomia regolamentare del nuovo ente, non ha indebolito il criterio solidaristico di base, che rimane quale fondamento essenziale di questo sistema integrato, di fronte ad un tempo legale (quella della normativa primaria di categoria) e regolamentare (quella della Cassa, di natura privatistica).»
Giova inoltre ricordare, ad abundantiam, che l’istituto della restituzione dei contributi è assolutamente eccezionale nel panorama previdenziale nazionale essendo estraneo, per esempio, al sistema di previdenza obbligatoria gestito dall’INPS: la contribuzione inutilizzata, nei fondi gestiti dall’Istituto per l’assicurazione generale, rimane acquisita a titolo di solidarietà.
Alla luce di tutto ciò la domanda attorea viene respinta.