Come comportarsi se l’INPS chiede indietro dei soldi?

I motivi per i quali l’INPS potrebbe chiedere indietro dei soldi possono essere di varia natura e attenere a sfere diverse. In alcuni casi la richiesta è legittima in altri no. Vediamo le singole situazioni e spieghiamo come comportarsi in questi casi.

1. Restituzioni di denaro all’INPS

La legge consente all’INPS di ricalcolare in qualunque momento gli importi spettanti ad una determinata persona e confrontarli con quelli effettivamente corrisposti. Da questo confronto potrebbe emergere che un soggetto abbia percepito un importo superiore a quello che gli spettava, e pertanto tenuto alla restituzione soldi inps a rate; ma questo non dà automaticamente il diritto di riacquisire le maggiori somme.

In altri termini l’INPS non può richiedere indietro i soldi quando l’errore di calcolo sia dipeso da un errore di un suo funzionario: in questi casi, quando l'inps sbaglia calcolo disoccupazione, al massimo potrebbe agire contro il funzionario in presenza di dolo o colpa grave di questi.

Può invece richiedere indietro i soldi quando l’errato calcolo sia dipeso dal dolo del soggetto (ad esempio, quando un soggetto non ha dichiarato maggiori redditi percepiti, ha dichiarato maggiori familiari a carico, non ha aggiornato la situazione del coniuge che ha trovato nel frattempo un’occupazione). 

Sussiste il dolo anche quando l’errore dell’INPS non sia dipeso da omesse o mendaci dichiarazioni del soggetto, ma c’è la certezza che quest’ultimo si sia reso conto dell’errore e non l’abbia denunciato (ad esempio, un soggetto percepisce una pensione troppo elevata rispetto al reddito che percepiva prima di andare in pensione).

In presenza del dolo l’INPS può richiedere indietro i soldi entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello nel quale sono state erogate le maggiori somme non dovute. Trascorso questo termine, le maggiori somme versate diventano irripetibili.

Solo in caso di omessa dichiarazione dei redditi da parte di un soggetto, il termine per il recupero delle somme dovute è quello del termine di prescrizione ordinario di 10 anni. Un’eccezione al termine decennale è quello di 5 anni per la richiesta contributiva e cioè la richiesta del pagamento per contributi non versati.

Quindi inps rivuole i soldi indietro in presenza delle seguenti condizioni:

  • il pagamento delle somme eccedenti sia stato eseguito in forza di un provvedimento formale e definitivo;
  • il provvedimento è stato comunicato all’interessato;
  • l’errore non è addebitabile all’INPS.

Dunque, li può richiedere soltanto nel caso in cui si accorga che la somma sia stata versata in mancanza dei requisiti per ricevere la prestazione e cioè quando:

  • le prestazioni erano incumulabili o incompatibili con altre prestazioni;
  • le prestazioni non erano dovute in base ai limiti reddituali;
  • le prestazioni sono state erogate dopo il decesso del pensionato;
  • le prestazioni erano incumulabili con i redditi di lavoro;
  • le prestazioni relative all’assegno di invalidità non erano dovute per mancanza dei requisiti previsti dalla legge.

 

2. Restituzioni di denaro per l’assegno di disoccupazione

L’INPS può richiedere indietro le prestazioni relative alla NASPI (assegno di disoccupazione)

La restituzione naspi avviene quando:

  • si perde lo status di disoccupato e non lo si dichiara tempestivamente;
  • si avvia un’attività lavorativa subordinata autonoma senza dichiarare i redditi annui percepiti;
  • si raggiunge nel frattempo l’età pensionabile;
  • si acquisisce il diritto all’assegno ordinario di invalidità;
  • il lavoratore si rifiuta di partecipare alle iniziative di politica attiva proposte dai CPI;
  • il lavoratore non accetta le offerte di lavoro coerenti con le sue competenze e che si svolgono entro 50 Km dal luogo di residenza o che siano comunque raggiungibili in massimo 80 minuti con i mezzi pubblici.

Le somme da restituire sono solo quelle illegittimamente percepite e quindi quelle percepite dopo il verificarsi della situazione ostativa alla loro fruizione.

 

3. Ricorso avverso al provvedimento dell’INPS

Ma, come restituire naspi all'inps?  Prima di proporre un ricorso è necessario effettuare degli accertamenti preliminari:

  • in primo luogo, è necessario accertare se la restituzione dei maggiori importi richiesti dall’INPS siano effettivamente veri;
  • In secondo luogo, bisogna vedere se siano nel frattempo intervenute prescrizioni che rendono la richiesta dell’INPS irripetibile;
  • Infine, bisogna valutare le motivazioni fornite dall’INPS per richiedere la data somma di denaro.

Se, all’esito di questi accertamenti, le richieste dell’INPS risultino illegittime, il soggetto che ha ricevuto la comunicazione deve instaurare un ricorso amministrativo preliminare e procedere con un’azione giudiziaria contro l’INPS.

Se il ricorso non va a buon fine (ad esempio in caso di riscontro negativo o di silenzio diniego) è possibile fare causa all’INPS.

Per fare questo è necessario affidarsi ad un avvocato specializzato in materia previdenziale.

4. Restituzione dell’indennità di disoccupazione somministrata

L’indennità di disoccupazione - com’è noto - spetta ai lavoratori dipendenti che involontariamente perdono il lavoro. Gli elementi costitutivi del diritto dell’indennità di disoccupazione in parola sono:

- la preesistenza di un valido rapporto di lavoro

- la perdita dello stesso per ragioni non imputabili al lavoratore, quindi il passaggio involontario da uno stato di occupazione ad uno stato di disoccupazione.

Quest’ultima circostanza insorge sia nel caso di licenziamento del lavoratore da parte del datore di lavoro, sia nel caso dello spirare del termine finale di un contratto a tempo determinato. Il primo caso riguarda principalmente il rapporto di lavoro privato, il secondo è tipico del rapporto di lavoro alle dipendenze dell’Amministrazione dello Stato.

La restituzione dell’indennità di disoccupazione all’INPS è dovuta solo a seguito di effettiva reintegra del lavoratore nel posto di lavoro. Difatti, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, la sentenza con cui si dispone la reintegrazione del lavoratore non comporta, di per sé, l’obbligo di restituzione all’INPS dell’indennità ordinaria di disoccupazione dallo stesso percepita a seguito del licenziamento (cfr. Cass. Civ. n. 28295/19).

La sola sentenza che ordina la reintegrazione, se pure definitiva, non è, infatti, sufficiente a legittimare la restituzione dell’indennità di disoccupazione percepita dal lavoratore. Perché sia dovuta la restituzione, dunque, devono sussistere, contemporaneamente, i seguenti presupposti:

  • il pagamento, da parte dell’azienda, dei contributi per il periodo di assenza del lavoratore;
  • il pagamento della retribuzione spettante per il medesimo periodo;
  • il reintegro materiale in azienda del dipendente.

Ciò, poiché “l’evento coperto dal trattamento di disoccupazione è l’involontaria disoccupazione per mancanza di lavoro, ossia quella inattività, conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di lavoro, non riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da ragioni obiettive e cioè mancanza della richiesta di prestazioni del mercato di lavoro.

La sua funzione è quella di fornire in tale situazione ai lavoratori (e alle loro famiglie) un sostegno al reddito, in attuazione della previsione dell’art. 38 Cost., comma 2” (cfr. Corte Cost. n. 103/68). Inoltre, secondo la giurisprudenza di legittimità, la domanda per ottenere il trattamento di disoccupazione non presuppone neppure la definitività del licenziamento e non è incompatibile con la volontà di impugnarlo, mentre l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dell’atto di recesso, determina - comunque - lo stato di disoccupazione che rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione e sul quale non incide la contestazione in sede giudiziale della legittimità del licenziamento (cfr. Cass. Civ. n. 5850/98; Cass. Civ. n. 4040/80).

Pertanto, solo una volta che il licenziamento sia dichiarato illegittimo ed il rapporto venga ripristinato per effetto della reintegrazione, “le indennità di disoccupazione potranno e dovranno essere chieste in restituzione dall’Istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti” (cfr. Cass. Civ. n. 9418/07; Cass. Civ. n. 9109/07; Cass. Civ. n. 3904/02; Cass. Civ. n. 6265/00).

I sopra indicati limiti alla restituzione dell’indennità di disoccupazione si giustificano in funzione del fatto che essa, se operate al di fuori degli stessi, concreta una violazione del diritto di proprietà garantito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.

Nell’applicare le misure necessarie a correggere i propri errori, infatti, lo Stato deve effettuare un giusto bilanciamento e tener conto della buona fede del destinatario delle indennità, senza imporre un onere sproporzionato sul ricorrente (cfr. Corte Europea diritti dell’uomo, sentenza n.48921/18).

Affinché, dunque, l’Inps maturi il diritto alla restituzione del trattamento speciale di disoccupazione, non è sufficiente l’accertamento giudiziale della illegittimità del licenziamento.

Questo, infatti, non fa venire meno lo stato di disoccupazione, essendo – a tal fine – necessaria l’effettiva reintegra del lavoratore nel posto di lavoro. Solo quando ciò si è – concretamente – realizzato - il trattamento deve essere restituito (cfr. Cass. Civ. sez. lav. n.9418/07).

Nel caso di domanda di ripetizione dell’indebito proposta dall’Inps in relazione alle somme corrisposte a titolo indennità di disoccupazione, qualora risulti accertato che l’erogazione è avvenuta “sine titulo”, la ripetibilità delle somme non può essere esclusa ex art. 2033, c.c., per la buona fede dell’accipiens, in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi, non essendo inoltre neppure applicabile alla succitata fattispecie l’art. 1, commi 260 ss., legge n. 662 del 1996, che concerne esclusivamente le prestazioni pensionistiche (cfr. Cass. Civ. sez. lav. n. 12146/03).

Ciò in quanto la disposizione dettata, in tema di irripetibilità delle somme indebitamente percepite, dall’art. 52, comma 2, legge n. 88/1989, avendo natura di norma eccezionale, è - perciò - insuscettibile di interpretazione analogica, concernendo esclusivamente la materia delle pensioni e non già qualsiasi prestazione previdenziale (cfr. Cass. Civ.

5. Errore nel calcolo della Naspi: cosa fare?

La NASpI, acronimo di “Nuova Assicurazione Sociale Per l’Impiego) è un’indennità, mdetta anche “di disoccupazione” con cui lo Stato mira a garantire l’obiettivo di proteggere chi si trovi all’improvviso in uno stato di disoccupazione involontaria. Essa ha sostituito, a partire dal 01.05.2015 l’Aspi e la MiniAspi, divenendo - oggi – l’unica forma di sussidio legislativamente prevista a tutela di tutte le situazioni di perdita involontaria del lavoro.

Con la Naspi, quindi, si accede all’erogazione di un’indennità proporzionale rispetto alla retribuzione percepita negli ultimi quattro anni. Per maturare il diritto all’erogazione della NASpI, è - comunque - obbligatorio possedere determinati requisiti:

  • stato di disoccupazione involontario attestato dal Centro Per l’Impiego con dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e contestuale iscrizione nelle liste di disponibilità;
  • possesso del requisito contributivo, pari – almeno – a n. 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti il licenziamento;
  • svolgimento di almeno 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi precedenti alla perdita dello stesso; Non ha diritto alla NASpI chi presenta le proprie dimissioni volontarie; meno che le dimissioni non siano per giusta causa).

Oltre a questi requisiti, hanno diritto alla NASpI:

  • i lavoratori dipendenti;
  • gli apprendisti;
  • i soci lavoratori di cooperative,
  • i lavoratori a tempo determinato delle PP.AA;
  • il personale artistico con contratto di lavoro subordinato;
  • lavoratori domestici.

L’indennità di disoccupazione può essere percepita per un tempo massimo di 24 mesi (due anni). Appurato che si possiedono i requisiti, occorre presentare la domanda per ottenere l’indennità di disoccupazione. Ciò può essere fatto o direttamente online sul sito Inps oppure recarsi tramite un patronato/caf di propria fiducia. In caso di accoglimento della domanda, qualora questa sia stata presentata online, il portale INPS consentirà di aprire il prospetto di calcolo (scaricabile in pdf), nel quale è indicata la durata dell’indennità con gli importi lordi da liquidare mensilmente.

Una nota avverte il beneficiario della progressiva riduzione del 3% a partire dal 4° mese di erogazione dell’indennità, prevista dalla normativa, come criterio di calcolo. Inoltre, l’utente potrà verificare online autonomamente l’esito della domanda e gli accrediti della NASpI accedendo alla propria 1 sezione “MyInps” e cliccando sulla voce “I tuoi avvisi”. Effettuato tale accesso, questi potrà trovare due tipi di avvisi:

- “Notifica della Comunicazione”, che rimanda tramite un link alla lettera di riscontro che comunica l’accoglimento/rigetto o la richiesta di ulteriore documentazione, spedita dall’Istituto tramite Postel e archiviata nel servizio Cassetta Postale online, dal quale l’utente può visualizzare e scaricare in pdf la comunicazione, che resta disponibile anche in caso di smarrimento della lettera;

- “Disoccupazione non agricola dal [...]”, avviso di liquidazione di ogni rata di NASpI contenente indicazione dell’importo lordo liquidato sull’ IBAN che si è indicato nella domanda. Anche chi ha inoltrato la domanda tramite Patronato/Caf, ricevuta la lettera di accoglimento, potrà consultare il prospetto di calcolo o farne richiesta all’operatore di Patronato stesso.

Conoscere con precisione l’importo delle rate della NASpI, l’indennità mensile di disoccupazione, è ora più facile. Basta, infatti, accedere al portale Inps, sezione “Tutti i servizi” e poi “Nuova Assicurazione sociale per l’impiego (NASpI): consultazione domande”, inserire le proprie credenziali (PIN o SPID) e trovare le informazioni relative all’ultima domanda presentata.

Chi ha fornito il cellulare in fase di richiesta delle credenziali di accesso ai servizi online (PIN o SPID), riceverà anche un SMS di segnalazione dell’avviso di liquidazione della prima rata della prestazione, per tenere poi autonomamente sotto controllo l’accredito delle rate di NASpI.

Anche chi ha inoltrato la domanda tramite Patronato, ricevuta la lettera di accoglimento, potrà consultare il prospetto di calcolo o farne richiesta all’operatore di Patronato stesso. Nel caso in cui l’utente riscontri errori nel calcolo della NASpI può rilevarli autonomamente e segnalarli a Inps tramite il sito internet del medesimo istituto previdenziale.

Allo stesso modo, potrà rivolgersi al Patronato/Caf di fiducia tramite il quale ha presentato domanda. Trattandosi, tuttavia, di una materia estremamente tecnica, è preferibile farsi assistere da un legale il quale, con l’ausilio di un consulente del lavoro, potrà meglio tutelare l’avente diritto da eventuali errori in sede di calcolo realizzati da Inps.

6. Fonti normative

Cass. sent. n. 482/2017

Art. 13 legge 412/1991

Art. 52 legge n. 88/1989

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