La cartella esattoriale: quando è possibile impugnarla?
Se si riceve una cartella esattoriale sarebbe buona cosa, prima di procedere al pagamento, verificare che il debito sia reale e non siano decorsi i termini di prescrizione, che gli interessi siano stati calcolati correttamente e che la cartella sia stata notificata a norma di Legge. In caso contrario è possibile ricorrere impugnando tale provvedimento.
Quando il postino consegna una busta contenente una cartella esattoriale, spesso ci si lascia andare a scene di panico, ci si scoraggia e si pensa subito a come pagare il debito per evitare guai peggiori. La cosa ancora più tragica è che, solitamente, oltre all'importo del tributo non pagato, sono presenti sanzioni, interessi, aggio di riscossione e altre voci che rendono l'importo quasi doppio rispetto al tributo iniziale.
È però utile sapere che, anche contro le cartelle esattoriali che, spesso sembrano un qualcosa di definitivo ed inimpugnabile, esiste una soluzione: il ricorso.
Capita, infatti, specie in questi ultimi anni, che i contribuenti italiani appena ricevuta una cartella di pagamento, ritenendo di non essere debitori della somma richiesta, facciano ricorso all'ente creditore per una verifica, legittima, della propria posizione, inoltrando allo stesso apposita “istanza di accesso agli atti” ex legge n. 241/90. Prima “soluzione” quest’ultima, per verificare la sussistenza di validi presupposti di validità della cartella e per poi, fondatamente, proporre ricorso avverso la stessa.
Per prima cosa è utile spiegare cosa sia una cartella esattoriale, da non confondersi con l'avviso bonario, che segue tutto un altro iter. La cartella esattoriale è un atto che un Agente per la Riscossione (un tempo Equitalia, ora Agenzia delle Entrate Riscossione per la maggior parte dei casi), emette nei confronti di un contribuente, reo di avere dei debiti non pagati nei confronti di Enti creditori, per lo più, istituzionali:
- Agenzia delle Entrate;
- INPS;
- INAIL;
- Comuni e uffici collegati (rifiuti, servizi scolastici, ecc.);
- Casse previdenziali proprie di alcune categorie di lavoratori autonomi, ad esempio “Cassa Forense”
Di seguito vediamo quali sono i termini, le cause e i benefici che può ottenere il consumatore che impugna e vince il ricorso contro una cartella di pagamento.
1. Entro quanto tempo si può impugnare una cartella esattoriale
I tempi di impugnazione di una cartella di pagamento variano a seconda del tributo contestato:
- se viene richiesto il pagamento di tasse e tributi ( IRPEF, IVA, TASI, TARI, bollo auto, imposte di registro, ecc.) i tempo massimi per l'impugnazione non possono superare i 60 giorni e il ricorso va presentato in Commissione Tributaria;
- se il debito contestato è invece una multa stradale, ci sono soltanto 30 giorni di tempo per l'impugnazione con ricorso da presentare al Giudice di Pace;
- se il debito concerne contributi previdenziali, allora il termine è di 40 giorni con ricorso da presentare al Tribunale ordinario nella Sezione Lavoro;
- in caso di pignoramento, per opporre vizi di procedura o vizi formali il contribuente ha solo 20 giorni di tempo per l'impugnazione del provvedimento.
È utile aggiungere che, in linea di massima (ma è opportuno accertarsene di volta in volta), ai termini sopra esposti è applicata la "sospensione feriale" ovvero una sorta di "finzione giuridica" in virtù della quale, il periodo dal 1 al 31 agosto di ogni anno, non viene computato.
Fare ricorso contro una cartella esattoriale non comporta, comunque, la sua automatica sospensione, infatti, l'Agente della Riscossione, durante il periodo in cui il giudizio avrà corso di svolgimento, potrebbe comunque avviare le eventuali azioni di pignoramento.
Per evitare questa situazione, oltre al ricorso, sarebbe opportuno richiedere al giudice anche la sospensione dell’atto impugnato.
2. Cartelle esattoriali: i casi in cui fare ricorso
Il cittadino italiano è, per antonomasia, un po' distratto e pasticcione, senza offesa per nessuno, ma sono moltissimi i casi in cui ci si rende conto di avere dei debiti con l'Agenzia delle Entrate Riscossione solo dopo aver ricevuto un avviso di pignoramento, un'ipoteca, o una minaccia di fermo amministrativo del proprio autoveicolo.
Spesso per negligenza, ma molte altre volte capita che il contribuente che si rechi in esattoria per avere l'estratto di ruolo di quanto dovuto, scoprendo – così – di essere debitore di tutta una serie di imposte/tasse/contributi mai notificati dall'Amministrazione.
In questo caso è possibile fare ricorso, ma è bene non perdere tempo e muoversi con largo anticipo, consultando un buon avvocato, specie se le somme sono elevate e ci sono buone possibilità di vittoria, il quale – per prima cosa – inoltrerà l’istanza di accesso agli atti cui sopra accennavamo, con espressa richiesta all’Agente della Riscossione di estrazione di copia delle relate di notifica che si riferiscono alla o alle cartelle esattoriali che intende impugnare. In tal modo, infatti, poiché l’Ente che notifica la cartella ha l’obbligo di conservare la copie delle relate di notifica degli atti impositivi “presupposti” alla stessa, l’avvocato potrà fondatamente impugnare la cartella eccependo, in prima battuta, il c.d. “difetto di notifica”
Ovviamente, se il problema è un vizio di notifica, vincere la causa non cancellerà il debito ma eviterà al contribuente di subire un'azione esecutiva e condannerà la controparte al pagamento delle spese legali, compreso quelle sostenute per il ricorso.
In un secondo tempo l'Agenzia delle Entrate Riscossioni tornerà alla carica per ottenere quando dovuto ma dovrà farlo rispettando tutti i passi necessari per evitare i cosiddetti vizi di notifica.
È possibile ottenere dei buoni risultati, in termini di accoglimento delle domande di annullamento dei debiti, quando si riesce a dimostrare di aver già saldato quanto richiesto, oppure nei casi in cui si intenda contestare quanto iscritto a ruolo, se si hanno dei documenti certi per potersi fare le proprie ragioni.
Intentare un ricorso basato sul nulla può essere soltanto una perdita di tempo e un danno economico enorme che comporterebbe, oltre alla non estinzione del debito che crescerebbe di giorno in giorno attraverso sanzioni e interessi, anche l'aggiunta dell'onorario del proprio difensore.
Altre cause di possibile ricorso contro una cartella di pagamento sono:
- assenza del calcolo degli interessi nella cartella;
- cartella non notificata correttamente: non al diretto interessato oppure sprovvista della relata di notifica (situazione che, come detto, si “accerta” preliminarmente mediante “istanza di accesso agli atti” ex legge 241/90); ;
- copia della cartella consegnata al contribuente la cui relata non indichi la data della notifica,oppure, in cui questa non sia apposta in calce all’atto.
- cartelle notificate da soggetti non legittimati come - ad esempio - agenzie di poste private. Solo gli ufficiali della riscossione, gli agenti di polizia municipale, gli addetti di Poste Italiane s.p.a. e i messi comunali possono notificare le cartelle esattoriali.
Detto questo, e anche alla luce del fatto che la legge italiana dispensa molte categorie di contribuenti dal subire un pignoramento, come ad esempio a:
- chi non presenta alcun bene intestato che potrebbe evitare il pignoramento fino al giorno della sua morte;
- chi è al di sotto della soglia di povertà; fissata oggi nell’importo di € 5977,00;
- chi è in possesso di un'unica casa di proprietà sfruttata da abitazione principale (altre abitazioni, invece potrebbero essere pignorate se il debito risultasse maggiore di € 120.000);
- chi è pensionato e percepisca non più dell'assegno minimo di 679,50 €;
- chi possiede soltanto un conto corrente con saldo inferiore a 1.359 euro in cui venga versato regolarmente lo stipendio o la pensione.
Nemmeno il fermo amministrativo del veicolo è sempre possibile, infatti, molti giudici non agiscono in tal senso se, ad esempio, la vettura è cointestata oppure se il debitore riesce a dimostrare che l'auto è indispensabile per la propria attività lavorativa.
Alla luce di queste informazioni è bene valutare se sia il caso di impugnare o meno una cartella esattoriale, perché, spesso, è perfino meglio lasciare che le cose vadano per il loro corso senza agire, basti pensare ai casi sopracitati. Esistono, infatti, persone che si portano nella tomba i propri debiti esattoriali e vivono serenamente da nullatenenti.
Ulteriore e peculiare motivo di impugnazione della cartella esattoriale, spesso eccepibile, è quello relativo alla sussistenza di “vizi propri” di formazione del c.d. “ruolo” ex art. 19, comma 3 – D.lgs. n. 546/1992, da ritenere incorporati nell’atto oggetto della controversia, ovvero la cartella esattoriale medesima. Inoltre, la nuova cartella esattoriale, ai sensi del lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, ha radicalmente mutato la propria natura giuridica, assorbendo in sé la funzione del soppresso avviso di mora e, quindi, risponde ormai ad un’esigenza giuridica ben precisa. Essa, infatti, oltre a rappresentare il titolo esecutivo definitivo del carico tributario, deve incorporare tutti gli elementi necessari ed indispensabili a tal fine (tributo, anno d’imposta, interessi, penalità).
Pertanto, la cartella di pagamento ormai è solo un atto necessitato e consequenziale e non ha valore giuridico alcuno, in assenza della notifica dell’avviso di liquidazione che sarebbe dovuta avvenire ad opera di Agenzia delle Entrate. Per cui, ulteriore motivo di impugnabilità della cartella esattoriale è proprio quest’ultimo. Vizio che, peraltro, una volta eccepito, è insanabile e che comporta che la cartella di pagamento sia affetta da nullità assoluta.
Ulteriore contestazione che, spesso, può muoversi avverso una cartella esattoriale è quella del c.d. “difetto di motivazione” ex art. 3 legge n. 241/90. Il requisito della motivazione, infatti, non è integrato – ai sensi della legislazione vigente – dal mero richiamo di tutta quella serie di cifre e numeri che, spesso, caratterizza la cartella esattoriale. Perché questa possa dirsi “adeguatamente motivata”, infatti, è necessario che specifichi a quale atto presupposto fa riferimento e che lo stesso sia allegato alla notifica. Solo in tal modo, infatti, l’atto impositivo potrà ritenersi conforme ai più elementari principi dell’ordinamento giuridico e tributario, come oggi regolato dalla legge n. 212/2000 (c.d. Statuto del Contribuente).
Sul punto, hanno avuto modo di pronunciarsi, più volte, sia giudici tributari che la Suprema Corte di Cassazione, affermando la nullità degli atti emessi dall’Amministrazione Finanziaria e dai Concessionari non contenenti elementi idonei ad individuare e delimitare le ragioni dell’Ufficio e, conseguentemente, a consentire la difesa del 5 contribuente. Il “difetto di motivazione”, del resto, comporta la nullità della cartella esattoriale per violazione degli artt. 3 legge n. 241/90 e 7 Statuto del Diritti del Contribuente (cfr. Comm. Trib. Parma n. 1270/09).
Ulteriore ma non ultimo motivo di impugnazione della cartella esattoriale, ex art. art. 26, comma 4, D.P.R. n. 602/1973, è la mancata conservazione, cui l’ente impositore è tenuto per cinque anni, e la successiva mancata esibizione a seguito di specifica istanza di accesso agli atti, la matrice o della copia dell’avviso di liquidazione dell’imposta con la relazione dell'avvenuta notifica o avviso di ricevimento (cfr. Comm. Trib. Parma n. 1270/09; 1069/09; 40/10).
3. Prescrizione debiti e cartelle esattoriali
La prescrizione dei debiti relativi alle cartelle esattoriali è dipendente dal tipo di debito per la quale è stata emessa la cartella stessa, e varia da 3 a 10 anni.
Tuttavia, oltre a non essere un meccanismo automatico, esistono svariati metodi per interrompere la prescrizione, per cui è necessario fare molta attenzione prima di ricorrere ad una cartella esattoriale reclamando la prescrizione del debito.
È comunque utile sottolineare che, passato un determinato periodo di tempo, i debiti con l'Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia), si estinguono proprio perché interviene la cosiddetta prescrizione.
La prescrizione è uno strumento a tutela dei contribuenti che impone al creditore, un lasso di tempo per pretendere quanto dovutogli. Passato quel periodo di tempo, e senza che il creditore abbia preso gli adeguati provvedimenti (comunicazioni, notifiche, atti e azioni esecutive) per riscuotere il dovuto, il debito può considerarsi cancellato d'ufficio.
Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: se si riceve una cartella esattoriale per un debito nei confronti dell'INPS, il creditore, nel nostro caso l'Agenzia delle Entrate Riscossione, dovrebbe notificare periodicamente al debitore: intimazioni di pagamento, atti o qualsiasi altra comunicazione documentabile che riporti a zero il timer della prescrizione. In definitiva, se il creditore si muove con le dovute tempistiche, e il debitore decidesse di non pagare, il debito potrebbe diventare, addirittura infinito.
Vediamo i quali sono i termini di prescrizione di una cartella esattoriale per ogni tributo:
- IRPEF: 10 anni;
- IVA, IRAP, imposta di registro: 10 anni;
- INPS: 5 anni;
- Multe stradali: 5 anni;
- Bollo auto: 3 anni.
Se si ritiene avere tra le mani una cartella esattoriale prescritta, non è necessario fare nulla perché non esiste una procedura specifica per far decadere un debito in tal senso. Se, ad esempio, frugando in un cassetto si rinviene una cartella di Equitalia, risalente a 12 anni fa, e si è sicuri che da quel periodo non sono state notificate ulteriori comunicazioni, non sarà possibile chiedere l’annullamento di tale cartella per avvenuta prescrizione.
Si dovrà aspettare un qualsiasi atto dell'Agente di Riscossione in merito, come un sollecito di pagamento o intimazione, e poi proporre ricorso per l'avvenuta prescrizione.
È fondamentale comprendere che, per qualsiasi operazione di questo genere, sarebbe opportuno rivolgersi a degli esperti, in linea di massima avvocati, che saranno in grado di constatare se davvero esistono gli estremi per ricorrere contro una cartella esattoriale e accompagnare il contribuente al raggiungimento del proprio scopo, ovvero l'annullamento di tali atti. Evitare assolutamente il "Fai da te".
4. Come impugnare una cartella esattoriale
Esistono 3 metodi per impugnare una cartella esattoriale che si ritiene illegittima:
- proposizione della c.d. “istanza di annullamento in autotutela”, procedura in cui il contribuente, utilizzando un apposito modulo o per via telematica, si rivolge direttamente all'Agente della Riscossione esponendo le motivazioni per le quali ritiene che la cartella sia illegittima. La comunicazione deve essere inviata sia all'Agente della Riscossione che all'Ente creditore via raccomandata A/R o via PEC;
- tramite richiesta di sospensione dell’esecuzione: è possibile utilizzare questo strumento quando si ritiene di aver già saldato le somme richieste all'Ente creditore. Consiste in una comunicazione stragiudiziale inviata all'Ente Creditore con tutte le documentazioni che comprovano il pagamento, già effettuato, di quanto richiesto nella cartella esattoriale. Poiché trova applicazione l’istituto del c.d. “silenzio – assenso”, se l'Ente creditore non risponde il debito viene meno;
- tramite l'impugnazione giudiziale: in questo caso il debitore, meglio se assistito da un avvocato, dovrà presentare istanza di impugnazione al Giudice di Pace o alla Commissione Tributaria entro 60 giorni dalla notifica. È utile sottolineare che questa rappresenta la soluzione migliore nei casi in cui la cartella di pagamento presenta dei vizi ed è l'unico caso in cui, su richiesta del debitore, vengono interrotti i termini per cui la cartella diventerà un atto esecutivo.
Redatto da: Omar Cecchelani, Pagaremenotasse
Aggiornato da: Marco Mantelli
Fonti normative
D.P.R. n. 602/1973 Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito
Legge n. 241/90 (c.d. “legge sulla trasparenza dell’attività amministrativa” o “legge sul procedimento”);
Legge n. 212/00 (c.d. “Statuto dei diritti del Contrinuente”.