Il reato di violenza psicologica
Come si manifesta la violenza psicologica, quale tipologia di reati può integrare, come denunciarla alle Autorità Pubbliche e come provarla davanti al giudice.
Sempre più spesso nei fatti di cronaca sentiamo pronunciare l’espressione “violenza psicologia” e siamo indotti a pensare che questa forma di aggressione alla persona sia un vero e proprio reato, previsto e punito dal Codice Penale.
In realtà, tale concetto è stato elaborato dalla prassi ma non trova un fondamento esplicito all’interno della normativa penale.
Vediamo, quindi, in quale modo la legislatura italiana è volta a contrastare la violenza psicologica.
- Violenza psicologica: che reato è?
Violenza fisica
Violenza psicologica - Violenza psicologica: come denunciare
- Violenza psicologica: con quali prove si dimostra in giudizio
- Fonti Normative
1.Violenza psicologica: che reato è?
Prima di delineare il concetto di violenza psicologica è necessario definire in via generale cosa si intenda per “violenza” e distinguerne le due diverse forme.
La violenza si manifesta con un’azione umana volontaria, esercitata nei confronti di una persona in modo da determinarla a fare od omettere qualcosa contro la sua volontà o da cagionarle un danno fisico o psicofisico.
Le forme di violenza possono consistere in violenza fisica o violenza psicologica.
1.1 Violenza fisica
La violenza fisica si riscontra ogni volta in cui viene utilizzata energia fisica con un oggetto o forza umana sul corpo di un’altra persona, cagionandole una lesione o una malattia del corpo o della mente.
Il Codice Penale disciplina la violenza fisica attraverso la descrizione di alcune fattispecie di reato, che sono caratterizzate dalla lesione all’integrità fisica della persona.
Tali reati sono quelli delle percosse, ex art. 581 c.p., di lesioni personali ex art. 582 c.p. e nei casi più gravi anche del delitto di omicidio ex art. 575 c.p.
1.2 Violenza psicologica
La violenza psicologica, invece, si manifesta in modo più subdolo e nascosto. Può essere realizzata con modalità diverse, che spaziano da atteggiamenti non espliciti, consistenti in sguardi incattiviti, truci, imbronciati o tesi silenzi ad atteggiamenti espliciti integrati da continue frasi di disapprovazione e denigrazione.
La conseguenza immediata e non visibile di tali comportamenti è la compromissione dello stato mentale e psicologico della persona, che si può manifestare in:
- ansia
- paura
- depressione
- senso di inferiorità e soggezione.
Da un punto di vista sociologico tali comportamenti si riscontrano nei rapporti intimi, che dovrebbero essere caratterizzati dalla presenza di un grande senso di protezione, aiuto e sostegno delle fragilità altrui. In tali relazioni, la persona è ancora più vulnerabile, perché si aspetta di essere protetta, amata e aiutata non aggredita, denigrata, offesa e sminuita.
Questi comportamenti si verificano perché a volte esiste uno squilibrio di forza tra le persone, determinato dalla presenza nel rapporto di un soggetto debole. Con tale espressione si intende individuare le persone che per genere, età, condizione fisica o mentale, capacità di intendere e volere, non sono in grado di riconoscere le ingiustizie in modo tempestivo e difendersi efficacemente contro le aggressioni altrui.
Tra questi soggetti possono essere individuate le donne, i soggetti minori d’età o quelli incapaci di intendere e volere per una malattia del corpo o della mente.
La relazione affettiva che lega due persone spesso induce a sopportare comportamenti aggressivi per un lungo periodo di tempo e persuade la vittima a ritenere che siano espressione di un carattere “difficile” e che non siano né anomali, né dettati da intenti lesivi.
In tal modo il carnefice continua a sottolineare l’inferiorità della vittima, la quale, di conseguenza, cede ai tentativi dell’altro di sentirsi sminuita e denigrata. Per tali motivi, spesso la persona offesa non riconosce subito di essere oggetto di violenza psicologica e si rende conto della gravità di ciò che le accade soltanto quando alcuni comportamenti degenerano in azioni maggiormente lesive, a esempio in percosse o maltrattamenti.
Nonostante tali comportamenti abbiamo una portata lesiva molto ampia, il Codice Penale non prevede in modo esplicito il reato di violenza psicologica, ma descrive alcune fattispecie di reato che hanno quale presupposto la violenza psicologica.
Infatti, la violenza psicologica quando oltrepassa i confini della “sopraffazione lecita” (quella in cui si riscontra una naturale e costruttiva soggezione di un soggetto a un altro per la diversa natura, indole, posizione o anzianità) può integrare i reati di:
- Violenza privata, previsto dall’articolo 610 c.p., consistente nella violenza o nella minaccia volta a costringere la vittima a fare, tollerare od omettere qualcosa.
- Minaccia che, ai sensi dell’art. 612 c.p., viene integrata quando il reo prospetta a qualcuno un danno ingiusto.
- Atti persecutori (stalking) che, ai sensi dell’articolo 612 bis c.p., sono realizzati quando il reo con condotte reiterate minaccia o molesta taluno in modo da cagionargli un perdurante e grave stato d’ansia e paura, oppure da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o da costringerlo ad alterare le proprie abitudini di vita. Sono, quindi, tutti i comportamenti seriali e intrusivi che incidono negativamente sulla qualità di vita della vittima.
- Percosse, previste dall’articolo 581 c.p. e consistenti nell’inflizione di un colpo o un urto violento sul corpo della vittima, con l’intento di crearle un dolore, che, tuttavia, non provochi una malattia o una degenza.
- Lesioni personali, ai sensi dell’articolo 582 c.p., vengono integrate nel momento in cui il reo cagiona una lesione personale da cui deriva una malattia del corpo o della mente.
- Maltrattamenti in famiglia, previsti dall’articolo 572 c.p., che si manifestano nella condotta volta a trattare in malo modo, con violenza e crudeltà un membro della famiglia, un convivente o una persona sottoposta all’autorità o cura. Tali atteggiamenti possono realizzarsi nei confronti della moglie o della compagna e nei confronti dei figli. In concreto,
nei confronti dei figli, gli atteggiamenti possono manifestarsi con intenti manipolatori, per dirigerli verso determinate scelte di vita. A esempio: la disapprovazione dei genitori verso un determinato amico; continui e inutili rimproveri, silenzi o sguardi tesi.
La violenza psicologica in tali contesti può essere attuata non solo sui minori, ma anche sui figli maggiorenni, attraverso la disapprovazione del lavoro, della scelta universitaria o della fidanzata/fidanzato.
Oltre a tali tipologie di reato, la Convenzione del Consiglio di Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata in Italia con la legge n. 77 del 27 giugno 2013, delinea i reati di violenza di genere e distingue tra:
- Violenza contro le donne: comprendente gli atti di violenza fondati sul genere che provocano danni o sofferenze di natura fisica, sessuale o psicologica. La violenza psicologica nei confronti delle donne sfocia spesso in reati di lesioni personali od omicidi.
- Violenza domestica: atti di violenza fisica, sessuale o psicologica che si verificano all’interno della famiglia o tra attuali o precedenti partner. Infatti, a volte, all’interno della coppia si possono verificare casi in cui vi siano continui e patologici rimproveri o accuse di tenere comportamenti sbagliati.
L’attuale legislazione penale non prevede espressamente tali fattispecie di reato, ma la giurisprudenza le ha individuate in ogni comportamento caratterizzato da violenza diretta contro una persona a causa del suo genere e ha affermato che essa rappresenta una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali.
2. Violenza psicologica: come denunciare
Nel caso in cui si ritenga di essere vittima di violenza psicologica non è opportuno attendere che i comportamenti offensivi degenerino in reati più gravi.
È necessario recarsi negli uffici delle Forze dell’Ordine e descrivere compiutamente i fatti.
La denuncia può essere effettuata in forma orale o scritta.
- La denuncia orale consiste nella descrizione dei fatti al pubblico ufficiale, che successivamente redige il verbale.
- La denuncia scritta, invece, viene effettuata con la compilazione e sottoscrizione, da parte della vittima, di un modulo disponibile presso le forze dell’ordine.
3. Violenza psicologica: con quali prove si dimostra in giudizio
Vediamo adesso con quali elementi è possibile provare la violenza psicologica subita.
Come già detto, la violenza psicologica, nella maggior parte dei casi, non provocando danni fisici visibili in modo immediato risulta difficoltosa da provare in giudizio. Tuttavia, la giurisprudenza da tempo ha ammesso forme di prova di vario genere:
- Registrazioni di chiamate e sms.
- Produzione di foto.
- Presentazione di testimoni.
- Registrazioni audio o video dei comportamenti dell’aggressore.
Se, invece, la violenza psicologica sfocia in reati più gravi e, in particolare, nei reati in cui vi è una lesione dell’integrità fisica, come il reato di percosse o lesioni personali, la prova deve essere data attraverso la presentazione di referti medici che attestino l’avvenuta lesione di una parte del corpo o l’insorgenza di una malattia del corpo o della mente.
Fonti normative
Articoli 572, 575, 581, 582, 610, 612, 612 bis Codice Penale.
Convenzione del Consiglio di Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011 e ratificata in Italia con la legge n. 77 del 27 giugno 2013.;
Cass. Penale S.U. 10959/2016
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