Cos’è la violenza di genere?
Cosa s’intende per violenza di genere e perché è importante parlarne.
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1. Cosa intendiamo con il termine violenza di genere?
Con il termine violenza di genere si vogliono indicare tutte quelle forme di violenza, da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori sotto forma di stalking, allo stupro, fino al femminicidio, che riguardano un ampio numero di persone le quali vengono discriminate sulla base del loro sesso.
Ci capita sempre più di sentire fatti di cronaca nera, mentre ascoltiamo la televisione, mentre leggiamo i giornali, durante la navigazione su internet oppure sui social. Nella maggior parte dei casi, questi fatti sono legati ad un argomento piuttosto spinoso, il quale direttamente o indirettamente ci troviamo ad affrontare: la violenza sulle donne.
Assume un notevole rilievo sostenere che, nonostante il trascorrere del tempo, l’evoluzione ed il progresso sociale, le donne continuino ad essere delle vittime, il più delle volte inconsapevoli, delle persone che si trovano loro accanto, delle persone di cui si fidano oppure dei familiari. Il paradosso, che risulta essere inquietante, è che nella maggior parte dei casi i carnefici siano le persone che queste donne vogliono bene ed amano e che nonostante tutto continueranno a difendere.
Il ruolo delle donne è sempre stato quello di comprimarie, attrici non protagoniste, e nonostante le continue lotte, le continue rivendicazioni dei diritti e la volontà di essere considerate eguali agli uomini, ricevendo un medesimo trattamento, tutto ciò appare come vano, infatti ancora oggi vengono considerate come il “sesso debole”, non indipendenti dall’uomo.
Se anche fosse vera la debolezza fisica della donna rispetto a quella degli uomini, trovo che sia aberrante questa visione distorta che prevede una sottomissione totale ed obbligata della donna nei confronti dell’uomo. Ogni volta in cui le donne abbiano cercato di cambiare questa condizione, rivendicando la propria libertà ed indipendenza, cercando di superare queste situazioni tacitamente accettate e considerate come consuetudini dalla società, hanno dovuto subire, in silenzio e da sole, minacce, ritorsioni di ogni genere e grado, ovvero subito percosse da parte di un uomo che si sente legittimato a compiere tali azioni.
Detto ciò, al concetto di violenza di genere non è assimilabile, solo ed esclusivamente, la percossa o la violenza, ma anche quella forma di controllo oppressivo, che priva della libertà di azione, di pensiero e di parola, per mezzo di minacce o umiliazioni. Si tratta di violenze che per lungo tempo sono state ritenute come socialmente accettabili, in quanto non manifestamente rifiutata e quindi implicitamente accettata, pertanto, invisibile e subdola. L’uomo è stato da sempre tutelato e giustificato nelle sue azioni e nei suoi comportamenti, anche in quelli più “animaleschi”, più selvaggi, con l’erronea convinzione che questi comportamenti siano l’assurda dimostrazione del proprio attaccamento e del proprio amore nei confronti della donna vittima di violenza.
L’Eurostat in un recente studio del 2017 riguardante la violenza sulle donne in Europa ha voluto riportare un dato del 2015, secondo cui per i 215.000 reati a sfondo sessuale, il 90% delle vittime era di sesso femminile. Sempre secondo questo studio, 1 donna su 3 in tutto il mondo ha avuto esperienza di violenza fisica o psicologica, nella maggior parte dei casi per mano del proprio partner.
1.1. L’amore violento
Solitamente, i motivi superficiali a fondamento delle violenze perpetrate nei confronti delle donne, sono da riscontrare:
- nella frustrazione;
- nell’insoddisfazione;
- nella non realizzazione personale dell’uomo;
- nelle difficoltà sul lavoro, nella vita o nel relazionarsi con l’altro sesso.
Scavando più nel profondo si riscontra un senso di superiorità dell’uomo, il quale non riconosce l’identità delle donne ed il fatto che esse abbiano, parimenti all’uomo, il diritto di vivere la loro vita, di relazionarsi, di amare, di realizzarsi e di decidere autonomamente quale sia la migliore scelta per loro. Un uomo che picchia una donna, non la rispetta e non dimostra il suo amore per lei.
Questa violenza può giungere a molteplici conclusioni, una di queste, purtroppo la più cruenta, risulta essere il femminicidio. È di primaria importanza l’uso di una parola che manifesti il dolore e la paura di chi sopravvive, che ci ricordi della gravità del gesto e che denunci apertamente alla società, mettendo da parte il silenzio e l’accettazione, che il problema è reale, attuale e concreto.
In Italia, secondo l’aggiornamento statistico curato da Eures, da gennaio ad ottobre 2018 si sono verificati 106 casi di femminicidio, ovverosia uno ogni 72 ore. Nei primi 10 mesi del 2018, i femminicidi sono saliti al 37,6% del totale degli omicidi commessi nel nostro Paese, rispetto al 34,8% del 2017, con un 79,2% di femminicidi familiari ed un 70,2% di femminicidi di coppia. Quello del femminicidio è un fenomeno che non sembra arrestarsi, anzi è in continua crescita. Tra il 2000 ed il 2018, le donne vittime di uomini violenti sono state 3.100, più di tre a settimana.
2. Tutele legali (Legge 15 ottobre 2013, n. 119)
Secondo l’articolo 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne, per “violenza contro le donne” si deve intendere ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà.
L’intento della legge contro la violenza di genere è quello di perseguire tre obiettivi principali:
- prevenire i reati;
- punire i colpevoli;
- proteggere le vittime.
Detto ciò, con l’introduzione nel 2009 del reato di stalking (atti persecutori), previsto all’art. 612 bis del Codice Penale, si sono voluti sanzionare i comportamenti violenti e persecutori, che costringono le vittime nel dover modificare le loro condotte di vita, risultando in questo modo rafforzate la tutela giudiziaria ed il sostegno alle vittime.
Questa normativa rientra nel quadro previsto dalla Convenzione di Istanbul (2011). Tale Convenzione assume un ruolo centrale nella lotta contro la violenza di genere, in quanto si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante “sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica”. L’elemento di novità apportato dalla suddetta Convenzione risulta essere il riconoscimento della violenza sulle donne come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione.
In Italia, al fine di raccogliere e monitorare i dati e di fornire un valido supporto alle persone che sono vittime di reati a sfondo discriminatorio, è presente l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (Oscad). Al fine di ridurre il fenomeno della violenza di genere si cerca di sensibilizzare le possibili vittime, attraverso molteplici interventi:
- tutela delle vittime di maltrattamenti e violenza domestica;
- investimenti sulla formazione delle tecniche di ascolto ed approccio alle vittime;
- corsi sulla violenza domestica e sullo stalking.
La disciplina penale ha subito un forte inasprimento con l’applicazione di misure cautelari personali, per cui sono stati ampliati i casi di associazioni a delinquere e di tratta e riduzione in schiavitù. Al fine di una corretta tutela, le prefetture promuovono, sui territori, dove emergono maggiormente i bisogni e sono più sentite queste esigenze, iniziative di informazione e di sensibilizzazione per combattere sul nascere la violenza di genere, tramite:
- formazione nelle scuole;
- gruppi di lavoro;
- sensibilizzazione sulla tematica;
- corsi di formazione per gli operatori delle strutture specializzate;
- collaborazione con le associazioni per potenziare l’accoglienza ed il sostegno alle vittime.
In materia di contrasto alla violenza di genere, assume un ruolo centrale la Legge 15 ottobre 2013, n. 119, ovverosia la c.d. legge sul femminicidio. L’importanza di tale Legge risiede nell’introduzione nell’ambito del diritto penale sostanziale e processuale di una serie di misure, preventive e repressive, al fine di contrastare la violenza contro le donne per motivi di genere.
Tra le principali novità si può annoverare la relazione affettiva intercorrente tra i soggetti, in quanto incomincia ad assumere rilevanza la relazione tra i soggetti a prescindere dalla convivenza o dal vincolo matrimoniale. Nel caso di maltrattamento in famiglia e di violenza fisica commessi in danno o in presenza di minorenni o in danno di donne incinte è applicabile una sanzione aggravata. Invece, per quanto concerne l’aggravante dello stalking commesso dal coniuge, viene elisa la condizione che vi sia separazione legale ovvero divorzio.
Se il soggetto viene colto in flagranza, nel caso di maltrattamento in famiglia e di stalking, è previsto l’arresto obbligatorio. Al di fuori dell’arresto obbligatorio, nel caso in cui ricorrano gravi lesioni, violenze e minacce aggravate, si può allontanare il soggetto d’urgenza dalla casa familiare e vietargli di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
3. Considerazioni finali
Lentamente, la violenza sulla donna sta avendo la rilevanza che le spetta. Le paure nel denunciare o nel confidare quel che si è subito si stanno dissipando, grazie anche all’intervento ed il sostegno delle strutture specializzate. L’intento è quello di non far sentire sole ed abbandonate queste donne, le quali devono capire che questi comportamenti devono essere rifiutati e combattuti, anche se classificati dalla società come normali, ma che in realtà di normale non hanno niente. Per questo è importante ricordare che a tutela e sostegno delle donne che lottano ogni giorno si celebra la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre.
Tuttavia, non può bastare una semplice giornata per ricordare questa problematica e per rispettare la donna, perché affinché vi sia un reale cambiamento della società, è necessario un cambiamento radicale nella mentalità. Le donne vittime di violenza non riescono, sempre, a trovare la forza per denunciare l’accaduto, in quanto nella maggioranza dei casi sono vittime dei familiari. Per timore o per vergogna, per fiducia o per speranza in un cambiamento nel comportamento altrui, la donna tende a credere alle scuse che le vengono propinate, perché non può capacitarsi di essere lei una vittima della violenza, non lo accetta.
Di solito, la prima volta s’incomincia con qualche schiaffo o con qualche presa eccessivamente forte sul collo, che possono generare dei lividi. Alcuni di questi possono essere coperti o nascosti, ma col passare del tempo non saranno questi “segni” a spaventare, bensì le ferite insanabili che faranno perdere la forza di rialzarsi da terra, di alzare la testa, di reagire e di dire no. Non è questo che volete. Non abbiate paura di chiedere aiuto, perché la seconda volta può diventare l’ultima.
È importante sensibilizzare le persone su questo argomento, ed ancora più importante è riuscire a riconoscere gli elementi al fine di contrastare nel modo migliore, senza timori e senza paure di giudizi, la violenza di genere. Per farlo, però, occorre partire dagli ambienti familiari, rispettando le scelte e le decisioni delle nostre donne di casa, senza voler prevaricare ed imporre la propria forza fisica, ma incitandole affinché si riescano a realizzare professionalmente e capendo che anche loro possono avere dei problemi, come noi uomini. Per violenza non s’intende, soltanto, il fare del male ad una donna fisicamente, infatti nella violenza rientrano tutte quelle azioni che si compiono contro la volontà di una donna. Utilizzare frasi o battute sessiste, al fine di far sentire una donna inferiore è un modo per farle del male, per sminuirla, denigrandone il suo reale valore.
Fonti normative
Codice Penale: art. 612 bis
Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica (Convenzione d’Istanbul), 11 maggio 2011
Legge 15 ottobre 2013, n. 119
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