Cosa rischia chi dichiara una falsa residenza?
La residenza di un soggetto ha rilevanza pubblicistica, in quanto in base alla sua dichiarazione, il soggetto medesimo è iscritto nell’anagrafe del comune interessato. Ciò comporta che la dichiarazione falsa sulla residenza costituisca un illecito, sanzionato a livello penale. Vediamo i dettagli.
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1. La residenza
L'argomento che tratteremo oggi riguarda il tema del diritto della persona, e più precisamente le conseguenze che possono derivare dalla falsa attestazione della residenza anagrafica. La residenza, consiste nel luogo in cui un soggetto dimora abitualmente. Secondo la giurisprudenza, al fine di integrare il concetto di residenza quale dimora abituale di una persona, sono necessari un elemento oggettivo, rappresentato dalla stabile permanenza del soggetto in un determinato luogo, ed un elemento soggettivo, costituito dalla volontà di rimanervi in maniera duratura.
La residenza può divergere dal domicilio, rappresentato dal luogo in cui un soggetto stabilisce la sede principale dei propri interessi ed affari, potendo stabilire la prima presso la casa familiare ed il secondo presso il luogo di lavoro. La residenza, inoltre, si distingue dalla dimora, in quanto quest’ultima è priva del requisito dell’abitualità, trattandosi del luogo di permanenza del soggetto in modo temporaneo.
La dimora, infatti, cessa quando la persona si trasferisce in un altro luogo, mentre la residenza non viene meno in caso di assenza, specie quando l’assenza derivi da motivi di lavoro, studio, viaggi, ecc. In tali casi, il ritorno della persona, integra pienamente l’elemento soggettivo del mantenimento della residenza. Detto ciò, vediamo nello specifico, le conseguenze in caso di falsa dichiarazione della residenza.
2. La residenza fittizia
Dichiarare la residenza in luogo in cui non si vive abitualmente e stabilmente, costituisce un reato. Infatti, la residenza non rappresenta un dato meramente formale che viene dichiarato dall’interessato, bensì è il luogo dove il cittadino deve essere reperibile per il postino, il Comune, l’Agenzia delle Entrate, le autorità giudiziarie, etc..
Per questi motivi, in caso di cambiamento dell’indirizzo di residenza, il cittadino ha l’obbligo di dichiarare all’Ufficio Anagrafe del Comune di destinazione (che dovrà poi darne comunicazione a quello originario) il trasferimento della propria residenza entro 20 giorni dal momento in cui viene effettuato. A seguito di tale dichiarazione, l’Anagrafe aggiorna i registri entro 48 ore per rendere ufficiale la nuova residenza, ossia per rendere ufficiale il nuovo indirizzo presso il quale reperire il soggetto. Inoltre, l’ufficio suddetto può incaricare gli agenti della polizia municipale di effettuare dei controlli presso il nuovo recapito, al fine di verificare che le dichiarazioni rese siano veritiere.
Laddove risulti che il soggetto abbia dichiarato un indirizzo falso, ossia non risieda effettivamente in tale luogo, vi è la revoca del cambio di residenza e il soggetto risulta irreperibile. Pertanto, si configura un reato, poiché viene resa una falsa dichiarazione della residenza, c.d. fittizia, ad un funzionario dell’anagrafe e, quindi, a pubblico ufficiale In tali casi, le ipotesi di reato che possono venirsi a configurare sono diverse.
2.1 La dichiarazione della residenza: false attestazioni
Le attestazioni fatte davanti ad un pubblico ufficiale possono essere differenti:
- Dichiarazioni sostitutive di certificazione (le c.d. autocertificazioni), di cui all’art. 46 D.P.R. 445/2000, o;
- Dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, di cui all’art. 47 del medesimo D.P.R..
Nel primo caso, l’art 46 D.P.R. 445/2000 prevede che l’autocertificazione effettuata dal soggetto interessato degli stati, qualità personali e fatti, tra cui anche la residenza, assume piena prova circa il contenuto delle dichiarazioni. Mentre, nel secondo caso, l’art. 47 D.P.R. 445/2000 fa riferimento alle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà, ossia alle dichiarazioni rese dall’interessato, secondo determinate formalità (es. presenza di due testimoni), circa eventi, stati o qualità personali non indicati dall’art. 46 del medesimo Decreto.
Gli effetti che ne conseguono in caso di false dichiarazioni sono disciplinati dall’art. 76 del citato testo unico: “Chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal presente testo unico è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia. La sanzione ordinariamente prevista dal codice penale è aumentata da un terzo alla metà” (così modificato dalla L. 77/2020).
La giurisprudenza soffermandosi più volte sull’argomento, ha sostenuto che con la dichiarazione di una residenza fittizia si viene a configurare il reato di falso in atto pubblico, poiché il cittadino fa la sua dichiarazione davanti ad un pubblico ufficiale, che, però, a sua volta trasferisce l’indirizzo di residenza indicato nei registri dell’anagrafe, ossia in un atto pubblico.
La Corte di Cassazione ha chiarito, nello specifico, che la condotta di falsa dichiarazione della residenza integri il reato di falso ideologico, di cui all’art. 483 c.p., in quanto l’atto è destinato a provare la verità di un fatto, con l’obbligo del dichiarante di effettuare dichiarazioni veritiere (Cass. n. 29469/2018).
L’art. 483 c.p., disciplinando il reato di falso ideologico, stabilisce che il soggetto che compie tale reato è punito con la reclusione fino a due anni; nel caso in cui, invece, siano state rese false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi. Inoltre, ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 483 c.p., è sufficiente che l’attestazione non veritiera sia inoltrata presso l’Ufficio Anagrafe e resa ex artt. 46 e 47 D.P.R. 445/2000, indipendentemente dalla successiva registrazione della dichiarazione medesima.
La Cassazione già nel 2014 aveva affermato che la dichiarazione di una residenza fittizia costituisce un reato di falso ideologico in atto pubblico e che tale reato si configura anche nel caso in cui il soggetto, a seguito del controllo effettuato dai vigili urbani, continui ad affermare in modo menzognero che tale indirizzo corrisponda al luogo di dimora abituale, nonostante non abiti veramente in tale posto. (Cass. n. 15651/2014).
Ne consegue, alla commissione di tale reato, la revoca di tutti i benefici assistenziali e fiscali (es. riduzione dell’Imu da versare per la seconda casa).
2.2 La dichiarazione della residenza: false dichiarazioni
La dichiarazione relativa alla falsa residenza può avere rilievo non solo in riferimento ad atti compiuti dinanzi ad un pubblico ufficiale, ovvero contenuti negli atti di stato civile, ma anche quando il soggetto, interrogato da un pubblico ufficiale, renda dichiarazioni false allo scopo di ingannare la pubblica fede.
Integra, infatti, la fattispecie criminosa prevista dall’art. 496, cod. penale, punita con la reclusione da uno a cinque anni per la condotta del soggetto che, al di fuori dei casi di dichiarazioni o attestazioni false, si rivolga ad un pubblico ufficiale ovvero a persona incaricata di un pubblico servizio, rendendo false dichiarazioni sull'identità, lo stato o altre qualità personali proprie o di altro soggetto
L’articolo 496 cod. penale si distingue dall’ipotesi disciplinata dall’art. 495, in quanto esso riguarda false dichiarazioni che non abbiano alcuna attinenza né diretta né indiretta nella formazione di un atto pubblico. Qualora, invece, le dichiarazioni devono essere riprodotte in un atto pubblico o comunque siano rilevanti ai fini della sua formazione, come l’anagrafe, si realizza l’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 495, cod. penale.
Sulla falsa residenza, la giurisprudenza ha specificato che “integra il reato di cui all’art. 496 c.p., la condotta del soggetto, che fermato dai carabinieri, per un controllo, fornisca false dichiarazioni sulla propria residenza, la quale rientra nel novero delle qualità e condizioni personali, e di conseguenza concorre ad individuare l’identità della persona” (Cass. Penale, 9 Giugno 2005, n. 26073).
Redatto da: Roberto Ruocco
Aggiornato da: Doriana Sorrentino
Fonti normative
Codice penale: articoli 483, 495 e 496.
Cassazione Penale: Sentenza n. 11885, 16 novembre 1998; Sentenza, n. 26073, 9 Giugno 2005.
Decreto del Presidente della Repubblica, 28 dicembre 2000, n. 445: Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa.
Cass. penale n. 29469/2018
Cass. penale n. 15651/2014
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