Semilibertà: cos’è?
Un regime alternativo alla carcerazione, diretto alla rieducazione ed al reinserimento dei pregiudicati. Vediamo cos’è la semilibertà.
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1. Cosa si intende per semilibertà?
Il regime di semilibertà è descritto nell’Ordinamento Penitenziario (legge 354/75), dall’articolo 48 e seguenti.
L’articolo 48 ne dà una definizione specifica, dice:
“Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.
I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili.”
Come possiamo capire dall’articolo, la semilibertà è una misura cosiddetta alternativa alla detenzione. Le misure alternative sono varie, dall’affidamento in prova ai servizi sociali, per il quale il detenuto condannato ad una pena non superiore ai 3 anni, può essere affidato per lo stesso periodo ai servizi sociali, esterni all’istituto carcerario, la liberazione anticipata che prevede uno sconto di pena se il condannato ha dato prova di rieducazione durante il periodo di carcerazione , e infine, la famosa detenzione domiciliare, che permette al recluso di espiare parte della sua pena nella sua abitazione o in altri luoghi.
Carattere fondamentale della semilibertà è la possibilità per i condannati di intrattenersi in attività lavorative o di studio, come alternativa alla vita carceraria.
Tra le misure alternative alla detenzione è quella più specificatamente diretta alla rieducazione.
Il nostro ordinamento è passato da regimi carcerari diretti alla punizione, in senso stretto, ai regimi carcerari dell’educazione.
Il problema fondamentale di chi si ritrova a dover pagare un conto con la giustizia, è quello di poter essere reinserito correttamente nella società, a livello sia lavorativo che sociale.
Ed è questo un percorso lungo che i condannati svolgono accompagnati da figure professionali, come psicologi ed educatori, ed autonomamente grazie alla semilibertà.
2. I requisiti di ammissione alla semilibertà
Il regime di semilibertà, però, non è diretto a tutti i condannati. Prevede dei particolari requisiti di ammissione che vanno rispettati. Di questi requisiti ci parla l’art. 50 dell’Ordinamento Penitenziario.
“Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell’arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale).
Fuori dei casi previsti dal comma 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l’espiazione di almeno metà della pena ovvero, se si tratta di condannato per taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis, di almeno due terzi di essa.
…Per il computo della durata delle pene non si tiene conto della pena pecuniaria inflitta congiuntamente a quella detentiva.
L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società.
Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena.
Nei casi previsti dal comma 1, se il condannato ha dimostrato la propria volontà di reinserimento nella vita sociale, la semilibertà può essere altresì disposta successivamente all’inizio dell’esecuzione della pena.
Se l’ammissione alla semilibertà riguarda una detenuta madre di un figlio di età inferiore a tre anni, essa ha diritto di usufruire della casa per la semilibertà.”
Come possiamo vedere dall’articolo, i requisiti sono vari e diversificati per il tempo di pena e di reato commesso. Interessante è poi il riferimento alle madri, categoria inserita in ogni misura alternativa alla carcerazione. In questo caso, si va a proteggere non tanto l’interesse della condannata, quanto quello del figlio della stessa, che potrà vivere i primi fondamentali anni di crescita accanto alla madre.
3. La sospensione e la revoca della semilibertà
Il regime di semilibertà non è un regime definitivo. Può essere revocato e sospeso per diverse motivazioni. Vediamo cosa ci dice a questo riguardo l’art. 51 dell’Ordinamento Penitenziario.
“Il provvedimento di semilibertà può essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento.
Il condannato, ammesso al regime di semilibertà, che rimane assente dall’istituto senza giustificato motivo, per non più di dodici ore, è punito in via disciplinare e può essere proposto per la revoca della concessione..
Se l’assenza si protrae per un tempo maggiore, il condannato è punibile a norma del primo comma dell’articolo 385 del codice penale ed è applicabile la disposizione dell’ultimo capoverso dello stesso articolo.
La denuncia per il delitto di cui al precedente comma importa la sospensione del beneficio e la condanna ne importa la revoca.
All’internato ammesso al regime di semilibertà che rimane assente dall’istituto senza giustificato motivo, per oltre tre ore, si applicano le disposizioni dell’ultimo comma dell’articolo 53.”
Come avevamo visto in precedenza, il regime di semilibertà presuppone che chi ne usufruisce sia idoneo al trattamento. Allo stesso modo, il condannato deve risultare idoneo alla semilibertà per tutta la durata del trattamento, pena la sospensione o la revoca della stessa.
Diversi sono gli atteggiamenti incriminati ma le assenze ingiustificate comportano la revoca del provvedimento.
4. La rieducazione dei condannati
“Il fine delle pene non è di tormentare e affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso… Il fine non è altro che d’impedire il reo dal fare nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali.”
Non si può parlare di rieducazione e di misure alternative alla detenzione senza citare Cesare Beccaria e il suo “Dei delitti e delle Pene”.
Il nostro sistema penale ha subito diversi cambiamenti storici e sociali, ma ciò che resta da sempre vivo è il ricordo delle parole di Beccaria, sulla rieducazione e sulla proporzionalità delle pene.
Parole recepite e condivise anche dal nostro testo fondamentale, la Costituzione, al cui art. 27 possiamo infatti leggere:
“L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.”
I principi descritti dalla nostra Costituzione sono diritti fondamentali ed inviolabili e tra questi rientra anche la stessa rieducazione carceraria.
Perché rieducare, quindi?
Il nostro sistema carcerario, sempre più al collasso, ci dimostra come gli interventi detentivi in senso stretto siano ormai superati.
Celle piene, carceri sovraffollate, e reiterazione dei delitti sempre più frequente.
La rieducazione e le misure alternative mirano a due scopi fondamentali. A svuotare le carceri e a fungere da deterrente per i nuovi reati.
Un condannato che non ha mai perso contatto con la realtà circostante e che ha avuto una concreta possibilità di inserirsi lavorativamente e socialmente, sarà meno incline a delinquere.
Chi, invece, avrà vissuto isolato, si rassegnerà molto più facilmente alla stessa vita di delinquenza già vissuta in precedenza.
Per concludere, la rieducazione è un grande strumento per il nostro ordinamento penitenziario e per il suo funzionamento, ed è uno strumento prezioso per i condannati e per la società stessa, che può finalmente punire gli errori di qualcuno, insegnando i modi corretti per non ripeterli.
Jessica Buonocore
Fonti normative
Ordinamento Penitenziario (art. 48 e ss.)
Dei Delitti e delle Pene – Cesare Beccaria
Costituzione della Repubblica Italiana (art 27)
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