Il reato di vilipendio
Si parla di vilipendio quando qualcuno pubblicamente offende, usando termini volgari o denigratori soggetti dotati di particolare dignità sociale
- Cos’è il reato di vilipendio e verso chi può essere commesso
- L’evoluzione storica del reato di vilipendio
- Vilipendio e libertà di manifestazione del pensiero
- Ma quando si commette il reato di vilipendio?
- Fonti normative
Il termine vilipendio trae origine dall’aggettivo latino “vilis” che significa vile e, pertanto, vilipendere equivale a offendere. A norma del codice penale il vilipendio è un reato previsto nella parte relativa ai "Delitti contro la personalità dello Stato” e in quella "Dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti”. Il vilipendio è, dunque, unreato la cui pena va da una multa fino alla reclusione.
Vilipendio e considerato reato quando qualcuno offende pubblicamente istituzioni che rappresentano valori tutelati per legge. Il codice penale prevede e punisce il vilipendio del presidente della Repubblica (art. 278); il vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate (art. 290); il vilipendio alla nazione italiana (art. 291); il vilipendio alla bandiera italiana (art. 292); il vilipendio di bandiera o emblema di Stato estero (art. 299); il vilipendio della religione (art. 403-404); il vilipendio delle tombe (art. 408); vilipendio di cadavere (art. 410).
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1. Cos’è il reato di vilipendio e verso chi può essere commesso
Si parla di vilipendio quando qualcuno pubblicamente offende, usando termini volgari o denigratori soggetti dotati di particolare dignità sociale quali: la Repubblica Italiana, intesa anche nella figura del Presidente, le Assemblee legislative, ovvero il Governo o la Corte costituzionale, l'ordine giudiziario, le Forze Armate dello Stato o quelle della liberazione, e la bandiera. Chi commette questi reati è punito, a seconda della gravità dello stesso, con la reclusione da sei mesi a cinque anni, oppure con una multa che oscilla tra i 100 e i 6.000 euro.
Si fa riferimento al termine vilipendio anche in relazione ad alcuni delitti contro il sentimento religioso e la pietà dei defunti.
Attualmente, infatti, sono presenti nel codice penale italiano i seguenti reati di vilipendio:
- Offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica (art. 278), che ha sostituito il precedente reato di "vilipendio alla persona del Re";
- Vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate (art. 290);
- Vilipendio alla nazione italiana (art. 291);
- Vilipendio alla bandiera italiana (art. 292);
- Offesa alla bandiera o emblema di Stato estero (art. 299);
- Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone (Art. 403);
- Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio o danneggiamento di cose (Art. 404);
- Vilipendio delle tombe (art. 408);
- Vilipendio di cadavere (art. 410).
2. L’evoluzione storica del reato di vilipendio
Il termine vilipendere, cioè offendere, svilire, deriva dal latino “vilis” che significa di poco valore, vile, ed è per questo motivi che l’ordinamento penale Italiano reputa necessario punire che sminuisce determinate figure.
La fattispecie può essere individuata per la prima volta, nel nostro ordinamento, nel codice Zanardelli del 1889, ed era tesa a tutelare la libertà di espressione religiosa, sia collettiva che individuale, indipendentemente da quale fosse il culto che si intendesse offendere. Il reato era perseguibile su querela di parte e per la sua configurabilità bastava l’evidente volontà di offendere il credo della vittima. Vi erano anche alcune forme di vilipendio politico, ma erano poco disciplinate e considerate di minor gravità.
In seguito alla riscrittura del codice penale, ed all’introduzione del c.d. “codice Rocco” nel 1930 (che è quello attualmente in vigore), vi fu un ampliamento della portata del reato.
Vennero infatti aumentati i reati contro la personalità dello Stato ed aumentata (anche a seguito dei c.d. patti lateranensi) la tutela della sola religione cattolica, rispetto agli altri culti.
La maggior tutela era prevista non solo nel momento di manifestazione esteriore della fede, ma anche del culto inteso come ente. Per la configurazione del reato è sufficiente il dolo generico, senza che rilevi il proposito di offendere.
Quando il regno d’Italia divenne Repubblica (nel 1946), si iniziò un dibattito molto importante sulla conservazione di questi reati particolari, perché esistenti, secondo molta parte della dottrina, in violazione dell’articolo 21 della costituzione Italiana sulla libera manifestazione di pensiero.
Nonostante le pressioni di una corrente di pensiero abrogazionista, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 20 del 1974 rigettò la questione di legittimità dell'art. 290, chiarendo che il bene del prestigio delle istituzioni non solo meritava tutela, ma aveva rilievo costituzionale. In questo modo i reati di vilipendio trovavano la loro giustificazione anche nel nuovo regime democratico.
Nel corso degli anni infatti, molte sono state le spinte per l’abrogazione di queste leggi, soprattutto in merito alla differenziazione tra le religioni, cosicché gli articoli sono finiti al vaglio della Corte Costituzionale, che sul punto si è espressa, negli anni più recenti, così:
- Sentenza numero 329/1997: dichiarazione d’incostituzionalità dell’articolo 404 c.p., nel punto in cui si stabilivano pene più severe per chi diffamasse la religione cattolica rispetto agli altri culti: la Corte statuì che tali pene andavano diminuite alla stessa stregua dell’articolo 406;
- Sentenza numero 508/2000: la Corte costituzionale decise per l’abrogazione dell’articolo 402 c.p., in quanto contenente la formula «religione di Stato», principio non più in vigore a seguito delle modifiche al concordato del 1985. Così facendo equiparò tutti i culti, per la tutela dei quali restano in vigore gli altri articoli del Codice (numeri 403, 404 e 405 c.p.);
- Sentenza numero 168/ 2005: Dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 403 c.p., primo e secondo comma, nella parte in cui erano previste per le offese alla religione cattolica mediante vilipendio di chi la professa o di un ministro del culto, la pena della reclusione rispettivamente fino a due anni e da uno a tre anni, anziché la pena diminuita stabilita dall’art. 406 dello stesso codice.
Infine, con la legge n. 85/2006, per cercare di rendere più eque le norme, vennero integralmente sostituiti gli artt.291, 292, 299 403 e 404 c.p. ed è stato abrogato il n. 406 c.p. La pena per tutti questi reati è divenuta, ad ogni modo, la sola multa.
3. Vilipendio e libertà di manifestazione del pensiero
Le modifiche sopra elencate sono servite solo ad eliminare quelle che erano delle evidenti incongruenze e differenze di trattamento per pari reati.
Il dibattito sulla compatibilità con la costituzione, nella prassi e nella dottrina, si è risolto positivamente, nel mantenere i reati vigenti, ma nell’ottica secondo cui, la libera manifestazione del pensiero è sempre tutelata, a patto che non si tratti di gratuito oltraggio, fine a sé stesso, e oltre il limite della critica, anche aspra, ma rispettosa dell’altrui culto o istituzione.
Anche il più recente orientamento della Suprema Corte si è espresso in questo senso, con la sentenza n. 28730/2013: "il reato di vilipendio (…) non è in contrasto con i principi della Costituzione della Repubblica e, in particolare, non si pone in contraddizione con l'art. 21 Cost., perché il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo, sancito in tale articolo, non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva".
Non si viola quindi la legge semplicemente per aver criticato un’istituzione dello Stato o dei credo.
4. Ma quando si commette il reato di vilipendio?
Quando la manifestazione di pensiero sia diretta a negare ogni rispetto o fiducia all'istituzione, o nel credo di altri, inducendo chi l’ascolta al disprezzo o alla disobbedienza, non può parlarsi di mera critica bensì di condotta vilipendiosa.
Il reato di vilipendio consiste, quindi, in un'offesa, una denigrazione, diretta a particolari oggetti degni di un rispetto particolare, che prima abbiamo elencato (bandiere, presidenti della repubblica, figure istituzionali, fedi, tombe…). I soggetti o i beni tutelati dalla norma, dunque, sono la personalità dello stato, il sentimento religioso e quello di pietà per i defunti.
Il fine del reato di vilipendio è dunque quello di punire le offese ai soggetti elencati in tutte le forme, cercando di tutelare in generale beni o interessi costituzionalmente rilevanti.
Il dolo, per questo reato, basta che sia generico, ovvero bastano la semplice coscienza e volontà di arrecare offesa all'istituzione. A nulla rilevano, perciò i motivi che hanno spinto il reo ad agire, contando solo il fine da raggiungere.
Inoltre, deve essere commesso a mezzo stampa (a cui oggi sono equiparati anche i social media) o altro mezzo di propaganda (es. cartelloni pubblicitari), in un luogo pubblico o aperto al pubblico, in un discorso pubblico (comizi, concerti, ecc.) purché non si tratti di riunione privata.
Per quanto riguarda gli articoli 408 e 410c.p., il vilipendio delle tombe e di cadavere, la dottrina spinge sempre di più affinché per questi reati (che comportano appunto l’oltraggio di cimiteri o luoghi di sepoltura e di cadaveri) venga ridefinita la fattispecie in termini di sanità pubblica, più che di sentimento di pietà dei morti.
Ilaria Bocci
Fonti Normative
- Articoli 278, 290, 291, 292, 299, 403, 404, 408, 410 Codice penale
- Legge n. 85/2006
- Sentenza numero 20 del 1974 Corte Costituzionale
- Sentenza numero 329/1997 Corte Costituzionale
- Sentenza numero 508/2000 Corte Costituzionale
- Sentenza numero 168/ 2005 Corte Costituzionale
- Sentenza n. 28730/2013 Corte di Cassazione
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