Il reato continuato, disciplina giuridica e caratteri
Cosa s’intende per reato continuato e come viene disciplinato e punito nel nostro ordinamento giuridico
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1. Il reato continuato: cos’è?
Il reato continuato è un particolare tipo di concorso materiale di reati nonostante sia trattato dalla norma che disciplina il concorso formale di reati, ed è disciplinato all’articolo 81 comma 2 c.p.; Esso è caratterizzato dalla peculiarità di prevedere, ai fini del calcolo della pena, il fattore dell’unico scopo delle azioni criminose commesse dal reo.
A norma del codice penale, il reato continuato è quell’istituto per cui chi con più azioni (o omissioni) volte a compiere un unico disegno criminoso, commette, anche in tempi diversi, più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge. In altri termini, la norma prevede che, quando per compiere un’azione criminosa si commettano più reati (uguali o diversi tra loro), ma con un medesimo scopo, la legge li considera come un unico illecito. Il progetto criminale deve emergere pertanto come interamente concepito per ottenere un preciso scopo dal reo, e se questo fallisce per fattori non prevedibili, decade la continuazione.
Per questo istituto l’ordinamento prevede l’applicazione della pena prevista per il concorso formale di reati (descritta al comma 1 dello stesso articolo 81 c.p.) ovvero quella che dovrebbe comminarsi per la violazione più grave aumentata sino al triplo.
Lo scopo della legge sembra essere quello di far percepire come meno socialmente pericoloso chi commette più azioni criminose con un unico scopo rispetto a chi compie più reati con fini differenti, perché il primo si ribella alla legge una sola volta.
2. Breve storia dell’istituto del reato continuato
Quella del reato continuato è una storia particolare e non lineare, tanto che dottrina, giurisprudenza e legislatore hanno dibattuto a lungo sulla sua natura, sulle sue finalità, e nel tempo è stato modificato per adattarlo alla realtà della situazione giuridica italiana.
Inizialmente, l’art. 81 del codice penale è stato ritoccato in seguito alla riforma della legge n. 220 del 1974 di conversione del decreto legge n. 99 del 1974, ampliando la portata applicativa della norma della continuazione anche ai casi di violazione di diverse fattispecie di reato, eliminando la necessità, precedentemente prevista, dell’unicità della tipologia di illecito commessa.
Più recentemente la norma è stata modificata con la legge n. 251 del 2005 (più nota come legge ex Cirielli, famosa per aver modificato profondamente la prescrizione), con l’aggiunta del quarto comma all’articolo 81 c.p., secondo cui “fermi restando i limiti indicati al terzo comma, se i reati in concorso formale o in continuazione con quello più grave sono commessi da soggetti ai quali sia stata applicata la recidiva prevista dall’articolo 99, quarto comma, l’aumento della quantità di pena non può essere comunque inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave”.
La dottrina ha invece lungamente dibattuto su cosa dovesse intendersi per “reato più grave”: se quello con la pena più dura astrattamente prevista nel codice, o quello che, alla fine del calcolo della pena, comprensivo di aggravanti e attenuanti, risultasse più afflittivo. La suprema corte ha, infine, deciso che occorre considerare il titolo dei reati concorrenti, unitamente alla previsione astratta delle pene massime previste dal codice, se poi tali pene sono identiche nel minimo e nel massimo, allora rilevano anche altri criteri (ad esempio quelli previsti all’art. 133 del c.p.).
Anche sulle tempistiche della continuazione la dottrina non è concorde. Secondo alcune teorie (maggioritarie) non cesserebbe mai la possibilità di rientrare in questo particolare istituto, qualora il piano criminoso, ancorché lungamente protratto nel tempo, sia commesso con una unico fine. Secondo altre scuole di pensiero, invece, l’unicità del reato viene meno quando sia passato un notevole lasso di tempo (tanto da far perdere il senso iniziale dello scopo) tra la commissione di un’azione criminosa ed un’altra.
3. Il reato continuato e il giudice dell’esecuzione
Essendo una fattispecie particolare, il reato continuato può essere riconosciuto come tale, in alcuni casi, solo a seguito di sentenze differenti, e spetterà pertanto al giudice dell’esecuzione valutarlo come tale.
Per chi non lo sapesse, il giudice dell’esecuzione è quel particolare magistrato che si occupa di verificare il corretto andamento della pena una volta irrogata, e di correggerla, in casi particolari, qualora venga a crearsi una situazione che richieda una modifica della sentenza. Nel caso in cui sia emessa una pluralità di sentenze diverse, come nel caso del reato continuato, sarà competente il giudice che ha emesso l’ultima sentenza divenuta irrevocabile.
Può, quindi succedere che spetti al giudice dell’esecuzione dover dichiarare che due o più reati, con sentenze diverse passate in giudicato, siano tra loro connessi attraverso la continuazione. Dovrà pertanto il Giudice ricalcolare in maniera adeguata al riconoscimento del medesimo disegno criminoso univoco la pena e, di conseguenza, applicare il cumulo giuridico a beneficio del reo. Ciò viene espressamente imposto dall’art. 671 c.p.p., per cui “nel caso di più sentenze o decreti penali irrevocabili pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona, il condannato o il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del concorso formale o del reato continuato, sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione.”.
Il giudice provvederà ad esaminare i vari fattori che potrebbero portare alla decisione dell’applicazione di questo istituto, non da ultimo fattori strettamente personali come i motivi che avrebbero portato alla commissione dei reati (es. tossicodipendenza, scopo dei reati ecc.), e determinerà la pena in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o ciascun decreto.
Recentemente la suprema corte a Sezioni Unite, con una sentenza determinante (la n. 28659/2017) ha stabilito che:“il giudice dell’esecuzione, in caso di riconoscimento della continuazione tra più reati oggetto di distinte sentenze irrevocabili, nel determinare la pena è tenuto anche al rispetto del limite del triplo della pena inflitta per la violazione più grave, oltre che del criterio indicato all’art. 671, comma 2, codice procedura penale., rappresentato dalla somma delle pene inflitte con ciascuna decisione irrevocabile”. Le sezioni unite hanno stabilito quindi che, anche se l’articolo 81 del codice penale stabilisce un principio speciale di calcolo della pena, questo può, in parte, derogare il principio dell’intangibilità del giudicato, per il principio del “favor rei”. Il giudice, quindi, nel calcolare la nuova condanna, dovrà tenere conto del limite del triplo imposto dalla continuazione, ed effettuare un ricalcolo della pena, anche diminuendo il periodo di detenzione precedentemente inflitto al condannato, fino al raggiungimento del limite massimo che le legge impone.
Si evidenzia nuovamente, anche attraverso le sentenze della Suprema Corte emesse nel corso degli anni più recenti, il carattere premiale della norma in questione, che tende, attraverso l’istituto del reato continuato, a far scontare una pena maggiore per il singolo reato, ma minore nel totale di quella prevista se si sommassero tutti gli anni insieme (ossia il c.d. “cumulo materiale”).
Ilaria Bocci
Fonti normative
Articolo 81 codice penale
Articolo 671 codice procedura penale
Cassazione a Sezioni Unite sentenza 40983/2018
Cassazione a Sezioni Unite sentenza t n. 3286/2009
Cassazione a Sezioni Unite sentenza. 28659/2017
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