Quale tutela è prevista per il reato di stalking?

Scopriamo insieme come ci si difende da questi atti persecutori.

Troppe volte sentiamo parlare di persone vittime di stalking. Sono soprattutto le donne ad essere perseguitate dai loro ex fidanzati e/o mariti. E non si tratta solo di continue e insistenti telefonate ma entrano in scena anche pedinamenti e veri e propri agguati sotto casa. Alcuni sfociano in comportamenti violenti tali da provocare lesioni permanenti (vedi il celebre caso della ragazza sfregiata dall’acido) o addirittura femminicidi.

E allora come ci si difende da questi atti persecutori?

La prima cosa da fare è recarsi immediatamente presso un ufficio di Polizia o Carabinieri e sporgere una denuncia-querela. In secondo luogo, sarà bene farsi assistere da un legale, esperto di diritto penale, il quale saprà consigliare i provvedimenti più opportuni da adottare.

Vediamo ora nello specifico cosa prevede il nostro ordinamento per il reato di stalking.

1. Reato di stalking

L’art. 612bis c.p. punisce chiunque minaccia o molesta altri in modo da provocare in loro un perdurante e grave stato di ansia o di paura o li costringa ad alterare le proprie abitudini di vita. Allo stesso modo è punito chi incute il fondato timore per un imminente pericolo per la vita della vittima o di un suo familiare. La pena prevista è la reclusione da un minimo di 6 mesi a un massimo di 4 anni. Sono previste degli aumenti di pena se:

- il fatto è commesso dal coniuge separato o divorziato o comunque da una persona che sia legata alla vittima da una relazione affettiva (ad esempio, convivente, fidanzato/a).

- il fatto è commesso ai danni di un minore, di una donna incinta o di una persona disabile: in questo caso la pena è aumentata della metà.

In queste ultime ipotesi è prevista un’aggravante in virtù della condizione di vulnerabilità in cui vive la vittima sia per ragioni fisiche (disabile o donna incinta) sia per ragioni sentimentali (coniuge, convivente).

Il reato, dunque, si intende consumato tutte le volte in cui un soggetto si sente perseguitato da un altro con telefonate, messaggi, pedinamenti e minacce continue e insistenti alla sua persona e/o a un suo familiare.

La condotta molestatrice e/o minacciosa non è specificata dalla legge, potendo essa assumere vari connotati. Possiamo, quindi, definire atti persecutori non solo i messaggi e le telefonate reiterate ma anche – e questi oramai sono all’ordine del giorno - le email e i post condivisi sui più comuni social network (Facebook, Instagram) che diffondono filmati ritraenti la vittima in un rapporto sessuale con lo stalker.

2. Differenza tra stalking e molestie telefoniche

A questo punto ci chiediamo che differenza c’è tra il reato di molestie telefoniche e il reato di stalking, dato che entrambi prevedono reiterate e insistenti molestie rivolte alla vittima.

In entrambi i casi gli agenti pongono in essere condotte molestatrici che generano nella vittima stati di ansia e paura, alterando la sua serenità psichica. Vi è, tuttavia, una differenza fondamentale: il molestatore telefonico (ad esempio, il call center) non arriva (o meglio, non dovrebbe arrivare) a compiere atti minacciosi e violenti come lo stalker.

La vittima di molestie telefoniche subisce sì un disturbo alla sua serenità giornaliera ma non cambia le sue abitudini di vita. La vittima di stalking, invece, subisce vessazioni continue che determinano in lei stati di ansia e paura che fanno vacillare il suo equilibrio psicologico.

Se nel caso delle molestie telefoniche perpetrate da un call center a noi basta spegnere il telefono per non essere più disturbati, non possiamo dire la stessa cosa nel caso dello stalking. La vittima di stalking, infatti, è costretta ad alterare in maniera sensibile la sua vita per potersi difendere dal suo aguzzino: ad esempio, non uscire più da casa, cambiare lavoro o addirittura cambiare città.

Ed è proprio questa condotta che segna la linea di confine tra le due fattispecie.

Fino al 2009 (anno in cui è stato introdotto il reato in questione) gli atti persecutori rivolti ad una persona rientravano nella fattispecie incriminatrice delle molestie telefoniche. Ne conseguiva che il colpevole era soggetto ad una pena molto più blanda (arresto fino a 6 mesi e ammenda fino a € 516,00) rispetto alla gravità del fatto commesso.

Lo stalking, infatti, si caratterizza per un’escalation di atti persecutori: si inizia con pochi messaggi e/o telefonate e si arriva ad appostamenti sotto casa della vittima o addirittura ad episodi di vera e propria violenza fisica.

A ben vedere, dunque, la situazione era insostenibile in quanto la vittima non riceveva una tutela giusta e adeguata. A ciò si aggiungeva la paura di denunciare per possibili ritorsioni del carnefice: non erano rari i casi in cui dopo la denuncia, lo stalker si accaniva sulla vittima in modo ancora più violento.

Dopo l’introduzione dell’art. 612bis c.p. la situazione è radicalmente cambiata: d’ora in poi gli stalker sono soggetti ad una pena più severa, commisurata alla gravità del fatto da loro commesso.

Ad esempio, l’ex fidanzato che inonda di chiamate e messaggi la sua ex fidanzata può essere passibile di denuncia per molestie telefoniche. Qualora, però, le molestie telefoniche dovessero essere accompagnate anche da pedinamenti o farsi così pesanti e minacciose da ledere la serenità psichica della donna, allora saremmo in presenza del ben più grave reato di stalking.

3. Procedibilità

Il delitto è procedibile a querela della persona offesa, cioè è necessaria la denuncia della vittima per poter perseguire penalmente il colpevole. La querela deve essere presentata alle autorità competenti (polizia o carabinieri) entro 6 mesi da quando è stato commesso il fatto.

Si deve precisare, tuttavia, che una volta presentata, la querela non può essere oggetto di remissione, cioè non può essere ritirata.

In altri termini, se uno, ad esempio, presenta querela per diffamazione e poi decide di ritirarla, potrà farlo liberamente. Nel caso dello stalking, invece, la persona offesa non può ritirare liberamente la querela presentata in precedenza; in tale caso, è necessaria la cd. remissione processuale, cioè la vittima deve dichiarare in maniera espressa all’autorità procedente (pubblico ministero o giudice) di voler rinunciare a perseguire penalmente lo stalker.

Questa previsione serve per evitare che il colpevole possa intimorire ancora di più la sua vittima al punto tale da indurla a ritirare la denuncia.  

Da ultimo, la querela è irrevocabile nell’ipotesi in cui gli atti persecutori siano consistiti in minacce reiterate e gravi (ad esempio, con le armi).

Il reato è procedibile d’ufficio, invece, quando la vittima è un minore o una persona disabile e quando lo stalker sia già stato ammonito in precedenza dal questore.

4. Ammonimento del questore

Prima che la vittima sporga una denuncia per stalking, la stessa potrà chiedere che il questore ammonisca lo stalker.

Il questore, assunte le necessarie informazioni, diffiderà oralmente il colpevole dal commettere ulteriori atti persecutori e dall’avvicinarsi alla persona.

In teoria, questo ammonimento dovrebbe bastare a far cessare gli atti persecutori. In realtà, lo stalker non si ferma e le minacce si fanno più pesanti fino al punto di compromettere la vita della stessa vittima.

Fonti normative

- Codice penale: art. 612bis c.p.

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Avvocato Carla Condoluci Team Avvocatoflash

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