Occupazione abusiva di una casa: come difendersi
L’occupazione abusiva di edifici consiste nella condotta da parte di chi decide d’invadere la proprietà altrui, stabilendosi all’interno di essa senza averne alcun titolo al fine di trarne un’utilità od un vantaggio. Vediamo di seguito, in quali casi si può parlare di occupazione abusiva di un immobile e quali sono i passi da seguire al fine di una corretta risoluzione.
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1. Cosa s’intende e quali sono le ipotesi di occupazione abusiva
Una delle conseguenze più evidenti della crisi economica è l'emergenza abitativa che, abbinata a povertà estrema e disperazione, ha determinato l’accentuarsi del fenomeno dell’occupazione abusiva di immobili. L’occupazione abusiva degli immobili consiste nella condotta da parte di chi decide, di stabilirsi od invadere la proprietà altrui, senza averne titolo alcuno, al fine di trarne un’utilità ovvero un vantaggio. Il carattere distintivo di tale comportamento risiede nell’arbitrarietà con cui l’occupante decide d’ insediare la propria dimora in uno spazio che non gli appartiene. Ciò può avvenire in mancanza di un contratto di locazione, ovvero alla scadenza dello stesso, se gli inquilini si rifiutano di lasciare la casa.
Il tema dell’occupazione abusiva è sempre stato al centro di numerose polemiche e dibattiti, per cui la suddetta questione è da considerare come particolarmente delicata, in quanto vi sono molteplici aspetti da analizzare. Infatti, il diritto all’abitazione e quello di proprietà sono entrambi riconosciuti dalla Costituzione, e molto spesso potrebbero entrare in conflitto. Tuttavia, nel momento in cui una persona invade la casa altrui senza essere legittimato a farlo, sta ledendo uno dei diritti fondamentali dell’uomo, e lo Stato deve intervenire al fine di tutelare il soggetto leso.
In particolare, nel caso in cui un soggetto occupasse una casa per necessità improvvisa, potrebbe non venire considerato penalmente colpevole. Invece, da un punto di vista civilistico il proprietario può intraprendere diverse azioni, dette petitorie per liberare la propria casa.
Nel caso di occupazione abusiva di un immobile, viene meno il diritto di entrare in casa propria, ed è importante sapere come comportarsi in situazioni di questo tipo e quali sono le tutele civili e penali previste dalla legge italiana. Innanzitutto, dobbiamo precisare che con il termine occupazione abusiva si fa riferimento a tre differenti casi:
- un soggetto terzo occupa abusivamente un immobile senza avere alcun contratto di locazione o di compravendita, ovverosia senza che esista un regolare rapporto tra il proprietario e l’occupante. Si tratta del caso in cui un soggetto estraneo entra in una casa, approfittando della momentanea assenza del proprietario, e poi si barrica all’interno rifiutandosi di uscire. Essa viene anche definita come occupazione senza titolo;
- il contratto di locazione esiste, indi per cui esiste un contratto che legittima la disponibilità del bene da parte del terzo, tuttavia, il proprietario contesta la sua validità, in quanto non sono state rispettate alcune condizioni, ad esempio per carenza di uno dei requisiti essenziali;
- il soggetto terzo ed il proprietario dell’immobile hanno stipulato originariamente un contratto, ovverosia un titolo che consentiva all’occupante di godere del bene, in seguito venuto meno. Un esempio può essere quello del contratto di locazione scaduto, ma l’inquilino non vuole andare via di casa, decidendo di permanere.
La prima ipotesi si caratterizza quindi per la totale assenza di un titolo che legittima l’occupazione, per questo si parla di occupazione senza titolo, mentre negli altri casi il titolo esiste, seppur nullo, inefficace o scaduto. In questi casi l’ordinamento offre al proprietario dell’immobile diversi strumenti di tutela alcuni di tipo civile altri di tipo penale consentendogli di liberare la casa e dunque rientrare in possesso del proprio bene.
2. Come difendersi dall’occupazione abusiva di una casa: la tutela civile
Un proprietario di casa che deve difendersi da una occupazione illegittima, tutelando il proprio diritto di proprietà, può intraprendere sia delle azioni petitorie che possessorie. In particolare, si può agire attraverso la:
- rivendicazione: intesa come un’azione petitoria utile al fine di dimostrare la reale proprietà di un immobile, attraverso i documenti relativi, tuttavia, non garantisce un rilascio immediato;
- reintegrazione: intesa come un’azione possessoria, ovverosia la richiesta ad un giudice, di un provvedimento urgente, per liberare la propria casa.
La rivendicazione è intesa come un’azione petitoria, disciplinata dall’art. 948 del Codice Civile. Pertanto, si deve considerare come un’iniziativa intrapresa per dimostrare e presentare le prove effettive della proprietà dell’abitazione. Il proprietario, può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o la detiene provando, con ogni mezzo, il proprio acquisto a titolo originario e che l’occupante, al contrario, non ha diritto valido alla fruizione del bene. L’azione di rivendicazione ha la duplice funzione: di accertare il diritto e di preparare l’esecuzione forzata. Per cui, come risultato non si ottiene una liberazione immediata della casa, ma può essere disposta l’esecuzione forzata, attraverso l’accertamento dell’illegittimità dell’occupazione. Inoltre, il vantaggio di tale azione risulta essere quello di non cadere in prescrizione.
Invece, la reintegrazione è un’azione possessoria, prevista dall’art. 1168 del Codice Civile. In tal caso la procedura risulta essere più veloce ed efficace, e può essere richiesta anche da chi ha dei diritti reali sul bene, per cui da chiunque abbia il possesso del bene, ad esempio chi ne ha l’usufrutto, ovvero il conduttore (affittuario), in qualità di detentore qualificato. Tuttavia, i termini sono molto brevi, infatti, va in prescrizione dopo un anno a partire dall’occupazione dell’immobile, oppure un anno da quando si è venuti a conoscenza dell’illecito. Proprio per questo motivo si tratta di un procedimento più snello, durante il quale viene fatta una prima cognizione generale al fine di ottenere il rilascio della casa, per poi aprire un’ulteriore indagine più approfondita per determinare il risarcimento danni, tramite un rito ordinario. Con la reintegrazione è possibile ottenere dal giudice un provvedimento urgente e immediato per richiedere la liberazione dell’immobile. E se l’occupante si rifiutasse di liberare la casa? Nel caso in cui l’occupante si dovesse opporre alla restituzione, con lo stesso provvedimento sarebbe possibile far intervenire un ufficiale giudiziario, eventualmente accompagnato dalle forze dell’ordine, per ottenere il rilascio del bene.
Detto ciò, affinché si possa agire per la reintegrazione del possesso, occorre che lo spoglio, quindi la condotta che ha privato il legittimo possessore del bene di godere del proprio diritto, sia avvenuto con i seguenti requisiti:
- lo spoglio deve provocare l’effettiva privazione del possesso, anche non permanente o reversibile;
- lo spoglio deve essere violento: laddove per violenza non si intende necessariamente l’uso di armi o di brutalità fisica, ma risulta essere sufficiente che sia avvenuto contro la volontà del possessore;
- con riguardo specifico allo spoglio clandestino o occulto, quindi avvenuto all’insaputa del possessore, occorre che tale inconsapevolezza non derivasse da negligenza;
- infine, è necessario l’elemento soggettivo: l’occupante deve essere cosciente di agire contro la volontà del possessore dell’immobile.
Nelle molteplici sentenze della Cassazione, l’occupazione abusiva è stata definita come un danno “in re ipsa”, ovverosia in se stesso. Ciò significa che il proprietario non deve dimostrare di aver avuto delle perdite economiche, perché sono sufficienti i fatti palesi. Per cui, al fine di calcolare il valore del risarcimento danni, al giudice basta quindi quantificare il canone di affitto della casa in questione, tenendo in considerazione i valori attuali del mercato. Però, in alcuni casi, la persona privata della propria abitazione, si è vista costretta a pagare un canone di locazione altrove. Per cui, tale cifra deve essere tenuta in considerazione e, quindi, conteggiata per valutare il danno subito.
Nel caso in cui l’occupante avesse inizialmente diritto a godere del bene, diritto che poi è venuto meno, come nel caso di un contratto di affitto scaduto, per ottenere la liberazione dell’edificio occorrerà proporre una domanda di restituzione oppure, nel caso di finita locazione, lo sfratto.
3. Come difendersi dall’occupazione abusiva di una casa: la tutela penale
Quando un soggetto si introduce nella casa di un altro senza avere il permesso per farlo, commette diversi reati, punibili penalmente, tra cui l’invasione di terreni o edifici (art. 633 del Codice Penale), il furto (artt. 624 e 625 del Codice Penale), il danneggiamento (art. 635 del Codice Penale) e la violazione di domicilio (art. 614 del Codice Penale). Si tratta di reati perseguibili a querela di parte presso la Procura della Repubblica, da parte della vittima, ovverosia il proprietario dell’immobile, ma in presenza di violenza si procederà d’ufficio, al fine di richiedere un intervento della polizia giudiziaria per ottenere il rilascio dell’immobile. Nel caso in cui l’invasione sia in corso e, quindi, ci si trovi di fronte alla flagranza di reato, la polizia ha l’obbligo di intervenire senza dover attendere un provvedimento del magistrato. Si tratta di reati istantanei, che non si possono cancellare, nemmeno se la situazione si dovesse sistemare. Ciò significa che, se il colpevole cambia idea e decide di abbandonare la casa, sarà condannato lo stesso.
Nel 2014 è intervenuta in materia la Corte di Cassazione stabilendo che l’eventuale successiva regolarizzazione della propria posizione abusiva non annulla il reato. Per cui, è importante sottolineare che l’intervento delle forze dell’ordine è obbligatorio nei casi in cui l’occupazione sia avvenuta fin dall’origine senza il consenso del proprietario: se, invece, in precedenza erano intercorsi degli accordi tra questi e gli occupanti (ad es. un termine per il rilascio) non è possibile agire senza un ordine dell’autorità competente, in quanto non si sta perfezionando alcun crimine, ma solo ed esclusivamente un inadempimento contrattuale.
Come abbiamo anticipato all’inizio di questo articolo, ci sono alcuni diritti fondamentali in netta contrapposizione quando si parla di occupazione abusiva di immobile. Il diritto alla proprietà potrebbe, quindi, entrare in conflitto con quello di abitazione, soprattutto nei casi in cui un soggetto agisca in uno “stato di necessità”, tale fattispecie è prevista dall’art. 54 del Codice Penale.
Si tratta di una particolare situazione rientrante tra le “scriminanti del reato”, anche dette “cause escludenti il reato”, ovverosia sono le condizioni che escludono la colpevolezza. Lo stato di necessità è considerato come un pericolo per la persona, che si trova ad agire in modo non consono per potere limitare i propri rischi, e per questo viene giustificato. La condotta assunta non viene considerata come antigiuridica e, di conseguenza, il soggetto che ha commesso il fatto viene considerato come non punibile dalla legge. L’abusivo, però, non viene condannato solo in presenza di alcuni requisiti stabiliti tassativamente dalla legge: necessità: per salvarsi da pericoli molto gravi attualità: tale rischio non è cronico, ma considerato come inevitabile, pertanto, non è possibile scegliere soluzioni alternative.
La giurisprudenza, inizialmente, tendeva a non configurare lo stato di necessità nel caso di occupazione abusiva. Tuttavia, è ormai consolidato l’orientamento opposto, il quale prevede una interpretazione estensiva dell’art. 54. Ne deriva che il soggetto che occupa abusivamente l’immobile non viene considerato colpevole se lo occupa in stato di necessità. Sono gli stessi giudici a sottolineare che si ritiene presente lo stato di necessità in caso di occupazione abusiva soltanto in presenza dei requisiti di:
- necessità: di salvare sé stessi o altri da un pericolo di danno grave;
- attualità: il pericolo di danno grave alla persona sussiste nel momento della realizzazione della condotta giustificata e si protrae durante tutta l’occupazione;
- inevitabilità: non è in alcun modo possibile scongiurare il pericolo.
Pertanto, vanno escluse quelle situazioni che i giudici definiscono “croniche”, come l’emergenza abitativa, rilevando che la scriminante dello stato di necessità non può essere invocata per rimediare all’esigenza di trovare una sistemazione definitiva.
Luca Terrinoni
Fonti normative:
Costituzione: art. 3
Codice Civile: artt. 561, 948, 1168,
Codice Penale: artt. 54, 614, 624, 625, 633, 635
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