Come difendersi dalle molestie sessuali sul luogo di lavoro?

Il codice delle pari opportunità definisce molestia sessuale qualsiasi comportamento di carattere sessuale, o basato sul genere, che sia indesiderato da chi lo scubisce e ne offenda la dignità.

1. Definizione di molestie sessuali.


Il codice delle pari opportunità definisce molestia sessuale qualsiasi comportamento di carattere sessuale,
o basato sul genere, che sia indesiderato da chi lo subisce e ne offenda la dignità.
Tale definizione, peraltro, aiuta a chiarire le differenze con fattispecie confinanti, quali la violenza
sessuale, i maltrattamenti, o gli atti persecutori (cd stalking).
Le molestie sessuali sono un illecito cd plurioffensivo, in quanto vanno a ledere beni giuridici differenti,
quali la libertà personale, la libertà sessuale, la dignità umana, l'integrità psico-fisica.

1.2 Le molestie in ambito lavorativo.


Se connesse con il lavoro, tali molestie assumono un connotato ulteriore, andando a colpire un ulteriore
bene giuridico della vittima: il diritto al lavoro. Infatti le molestie sessuali su lavoro sono quelle condotte
poste in essere per motivi legati alla sfera sessuale, con l'obbiettivo o comunque la conseguenza di violare
la dignità di un lavoratore, creando un clima umiliante, ostile, intimidatorio o degradante sul posto di
lavoro (in questo senso, occorre fare attenzione a distinguere le molestie dal cd mobbing).

2. Molestie sessuali sul lavoro: cosa fare secondo la legge.

Una delle significative novità introdotte nel 2018, con la finanziaria, sta nel divieto di licenziamento (e
nella nullità dello stesso con obbligo alla reintegrazione, quale ipotesi di licenziamento discriminatorio
che fuoriesce dal campo di applicazione del job act) di una lavoratrice o un lavoratore che abbia
denunciato per molestie sessuali il datore di lavoro od un superiore od un collega. Analogamente, i
trasferimenti – che possono anch'essi avere carattere di ritorsione per una denuncia – possono essere
dichiarati nulli in quanto discriminatori.
La tutela offerta al lavoratore che abbia agito in giudizio per denunciare una molestia, una molestia
sessuale ed anche una violenza sessuale, si estende anche ad altre ipotesi, ossia:
• licenziato;
• trasferito;
• demansionato;
• sanzionato;
• sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro (anche l'essere assegnati ad una mansione inutile e degradante viene compresa in questa ipotesi).
Ovviamente, tale protezione si basa sul presupposto che la denuncia non sia fatta in mala fede, e richiede altresì che tali conseguenze disciplinari od organizzative abbiano carattere di ritorsione rispetto all'azione legale intentata.
Occorre poi considerare che il termine per presentare la denuncia è di 3 mesi, o di 6 mesi in caso di violenza sessuale.
Chi subisce una molestia, oltre alla denuncia penale, può avviare una causa civile per il risarcimento danni, rivolgersi alle associazioni sindacali, oppure alla Consigliera di parità (istituita su base regionale).
In tema di risarcimento, si consideri poi che oltre al danno biologico, le corti talvolta riconoscono anche il cd danno morale, oltre che chiaramente al risarcimento per altre categorie di danno (tipicamente, il risarcimento per la perdita del lavoro, se il denunciante, dopo la denuncia, si dimette per il perpetrarsi delle molestie o per il clima di ostilità che può venirsi a creare sul luogo di lavoro come conseguenza
della causa stessa).

3. Gli obblighi del datore di lavoro.

Una interessante tendenza della giurisprudenza e della normativa, italiana ed europea, partendo dall'assunto che anche le molestie sessuali riducono il livello di sicurezza sul luogo di lavoro, hanno finito per considerare anche il datore di lavoro un soggetto obbligato a fornire una particolare tutela.
Questi infatti da un lato deve inserire il rischio di molestie sessuali (da parte di colleghi, superiori, ma anche clienti o personale esterno con cui i suoi dipendenti possono venire in contatto) nella valutazione dei rischi della propria attività, e prendere le opportune misure di prevenzione, dall'altro deve, qualora riceve una segnalazione da parte di un dipendente di un episodio di molestie, attivarsi immediatamente
per chiarire la situazione e, se del caso, sanzionare il colpevole.
In base a quanto appena spiegato, numerose sentenze hanno condannato in sede civile il datore di lavoro in solido con il molestatore (con diritto di rivalsa del datore su quest'ultimo).
A questo va aggiunto l'eventuale profilo di colpevolezza del datore che non abbia adeguatamente posto in essere le misure di prevenzione consigliate secondo l'attuale livello di esperienza, dal pari di qualsiasi altra misura di sicurezza sul luogo di lavoro. Infatti il codice civile, da un lato fa gravare sul datore le conseguenze dei danni causati dai propri dipendenti nello svolgimento della loro mansione (salva la prova
di aver fatto "tutto il possibile" per evitare il danno, che quindi viene imputato solamente all'esecutore materiale dell'illecito), dall'altro gli impone di garantire ai propri dipendenti un ambiente di lavoro sano e privo di rischi.
A riguardo, il Tribunale di Milano ha recentemente esteso al datore di lavoro anche la diretta responsabilità penale delle molestie perpetrate da un dipendente ai danni di una collega, sulla base del codice penale, che equipara il commettere un fatto al mancato impedimento dello stesso, se il soggetto è giuridicamente tenuto ad impedire il medesimo.
Quanto detto fin'ora presume la totale estraneità del datore di lavoro al comportamento denunciato, in quanto l'eventuale inerzia del datore, che ricevuta la segnalazione non prende provvedimenti, può configurare il concorso nel reato di molestia.

4. La prova.

Si deve considerare che, proprio la tutela rafforzata circa le eventuali ritorsioni, serve a valorizzare la testimonianza della vittima quale fonte di prova, specie se corroborata da conferme di altre eventuali vittime. Sono, in conformità al codice di rito, considerate prove presuntive anche circostanze particolari, come le dimissioni inspiegabili del dipendente successivamente alla denuncia (la Cassazione parla di
indice di genuinità delle accuse mosse al datore di lavoro), oppure un elevato "turn over" di neo assunte (un dato di tipo statistico, quindi).
Ovviamente, la tutela rafforzata, che giova ricordare rende nullo il licenziamento o il trasferimento o la misura disciplinare/organizzativa, non sono offerte al denunciante colpevole di calunnia o diffamazione, o comunque qualora il fatto denunciato sia insussistente.

5. Il risarcimento del danno.


Si è anticipato che i giudici hanno riconosciuto sia il danno biologico, ossia quello cagionato all'integrità psico-fisica della vittima, sia quello economo, qualora dall'evento delle molestie siano scaturite conseguenze ulteriori (quali la perdita del lavoro o le dimissioni).
A questi, si aggiunte il riconoscimento del cd danno morale, ossia quello patito per la violazione della dignità della persona.

 

 

Emilio Stacchetti 
 

 

Fonti normative:

Art. 2049 e 2087 cod. civile,
Art. 40, 609 bis e 660 cod. penale
Legge 205/2017
D.lgs 198/2006
Cass. 5436/2017


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