Cosa si intende per ergastolo ostativo
L’ergastolo è la massima pena riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico. Vediamo nel dettaglio che cos'è e per quali reati viene eseguito.
- Cos'è l'ergastolo ostativo
- Cosa dice la Corte Costituzionale
- Per quali reati viene eseguito
- Fonti Normative
1. Cos'è l'ergastolo ostativo
L’ergastolo è la pena a vita che deve essere scontata in carcere con l’obbligo del lavoro, con l’imposizione dell’isolamento notturno.
Nonostante con l’ergastolo il condannato sia privato della sua libertà a vita, lo stesso ha, in ogni caso, diritto ad ottenere alcuni benefici, quali:
- permessi premio,
- semilibertà,
- liberazione condizionale.
Ciò però non accade per il condannato all’ergastolo ostativo. Ai condannati, che tengono una regolare condotta in carcere e non risultano socialmente pericolosi, il giudice di Sorveglianza può concedere permessi premio (di durata non superiore a 15 giorni consecutivi), per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro, in cui può in concreto uscire dall’istituto penitenziario.
I condannati all’ergastolo possono ottenere i permessi premio dopo aver espiato almeno dieci anni di pena. Ulteriore beneficio previsto dalla legge è il regime di semilibertà che concede al condannato di trascorrere parte della giornata al di fuori dell’istituto penitenziario per partecipare ad attività lavorative, istruttive o utili al reinserimento sociale.
Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena. Infine, il più vantaggioso dei benefici che un condannato possa ottenere è la liberazione condizionale che consente allo stesso di trascorrere il residuo pena in libertà vigilata (quindi fuori dal carcere) per la risocializzazione e il riavvicinamento alla società. Anche il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale ma solo quando abbia già scontato ventisei anni di pena.
La concessione della liberazione condizionale, inoltre, è subordinata al risarcimento del danno, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.
L’ergastolo ostativo è, invece, una pena senza fine che nega ogni misura alternativa al carcere e ogni beneficio penitenziario a chi è stato condannato per reati gravi, c.d. ostativi, (come ad esempio terrorismo, associazione mafiosa, sequestro a scopo di estorsione o associazione per traffico di stupefacenti).
È regolato dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, introdotto nel 1992 a seguito alle stragi di mafia e all’uccisione dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, il quale stabilisce che l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione possono essere concessi ai condannati per alcuni reati, quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, associazione mafiosa, sequestro di persona a scopo di estorsione e associazione finalizzata al traffico di droga ,solo se collaborano con la giustizia. La libertà condizionale, invece, è negata anche in caso di collaborazione con la giustizia.
Tale previsione poggia sulla presunzione assoluta che la commissione di determinati delitti dimostri l’appartenenza dell’autore alla criminalità organizzata, o il suo collegamento con la stessa, e costituisca, quindi, un indice di pericolosità sociale incompatibile con l’ammissione del condannato ai benefici extramurari.
Il tema della detenzione ostativa ha animato un importante dibattito tra chi, come l’ex Pm Gherardo Colombo, sostiene la necessità di un carcere umano, e chi, come i magistrati antimafia Pietro Grasso, Gian Carlo Caselli e Federico Cafiero De Raho, ritiene che l’apertura del carcere a favore dei mafiosi porterebbe alla distruzione di anni di lotte contro la malavita organizzata.
Sul tema è stata chiamata ad intervenire anche la Corte di Strasburgo, c.d. Corte EDU, la quale, nella decisione del 13 giugno 2019 Viola c/ Italia, ha bocciato l’ergastolo ostativo ritenuto in contrasto con l’art. 3 della Convenzione EDU( che vieta la tortura, le punizioni degradanti e disumane) poiché nega in toto al detenuto la possibilità di compiere un percorso rieducativo.
Sulla scorta di tale decisione, dunque, la Corte di Cassazione e il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario per la violazione dei principi di uguaglianza art 3 Cost., in quanto per i condannati a tali reati è previsto un trattamento sanzionatorio diseguale a quello previsto per altri se pur con una condanna a una pena eguale, e per il principio di legalità della pena ex art. 27 Cost., la quale deve sempre mirare alla rieducazione del reo non potendo essere meramente sanzionatoria.
2. Cosa dice la Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, con sentenza 23 ottobre – 4 dicembre 2019, n. 253, interviene sul tema dell’ergastolo ostativo rimodellando l’istituto in esame. Secondo la Consulta una disciplina che assegni carattere assoluto alla presunzione di attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata confligge con i parametri costituzionali ex artt. 3 e 27 Cost.
Come già evidenziato, la scelta del condannato che aggrava il trattamento carcerario rispetto a quello previsto per i detenuti per reati non ostativi se lo stesso non collabora, oppure, al contrario, lo agevola in presenza di collaborazione, per la Corte Costituzionale “opera una deformante trasfigurazione della libertà di non collaborare” in quanto l'onere di collaborazione imposto come condizione di accesso ai benefici risulta estremamente gravoso nella misura in cui “non solo richiede la denuncia a carico di terzi (carceratus tenetur alios detegere), ma rischia altresì di determinare autoincriminazioni, anche per fatti non ancora giudicati”.
Difatti, la dichiarazione dell’inammissibilità della domanda di concessione dei benefici premiali in limine impedisce al Tribunale di Sorveglianza una valutazione in concreto della condizione del detenuto e sulla sua condotta, arrestando sul nascere la possibilità di rieducazione e risocializzazione al quale la pena ontologicamente tende.
La presunzione assoluta su cui si fonda tale inammissibilità risulta illogica, ad avviso della Consulta, perché “presuppone l'immutabilità della personalità del condannato e del contesto esterno, senza tenere conto che il trascorrere del tempo può comportare trasformazioni rilevanti”. La Corte Costituzionale, dunque, ritiene che per far sì che siano rispettati i parametri costituzionali, tale presunzione deve trasformarsi da assoluta in relativa, implicando una valutazione in concreto della condizione del condannato non basata soltanto sulla semplice condotta carceraria regolare o la mera partecipazione al percorso rieducativo o, a fortiori, una soltanto dichiarata dissociazione, ma l'allegazione, da parte del condannato che richiede il beneficio, di specifici elementi a favore e l’acquisizione da parte delle autorità coinvolte di stringenti informazioni che escludono non solo la permanenza di collegamenti con la criminalità organizzata, ma altresì il pericolo di un loro ripristino.
Pertanto La Corte Costituzionale ha statuito che “è costituzionalmente illegittimo art. 4 bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (c.d. ordinamento penitenziario) nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416 bis c.p., e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58 ter del medesimo o.p., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.”
3. Per quali reati viene eseguito
La Corte ha ritenuto opportuno estendere l'intervento ablatorio non solo ai reati di cui all’art 416 bis c.p., i quali erano stati espressamente oggetto delle ordinanze di remissione, ma anche agli altri reati contemplati nell'art. 4 bis o.p. (reati di prostituzione minorile e pornografia minorile, di violenza sessuale di gruppo, di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e reati contro la pubblica amministrazione), pur non rientrando nel perimetro delle questioni sollevate.
La finalità della Consulta, infatti, era quella di evitare il crearsi di una paradossale disparità di trattamento, con successiva violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost, che sarebbe conseguita all'intervento demolitorio, “a tutto danno dei detenuti per reati rispetto ai quali possono essere privi di giustificazione sia il requisito (ai fini dell’accesso ai benefici penitenziari) di una collaborazione con la giustizia, sia la dimostrazione dell’assenza di legami con un inesistente sodalizio criminale di originaria appartenenza” trattandosi per lo più di reati monosoggettivi.
4.Fonti Normative
Codice penale artt 416 bis, 416 ter, 600, 600 bis, 600 ter, 601, 602, 609 octies, 630
Legge 26 luglio 1975, n. 354 artt. 4 bis, 58 ter
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