Lo stato di insolvenza nel fallimento
Cosa si intende per stato di insolvenza, come si manifesta, come viene accertato giudizialmente e chi può adire l’autorità giudiziaria
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1. La nozione di stato di insolvenza
Lo stato di insolvenza di un imprenditore che esercita attività commerciale, presupposto oggettivo per la sua dichiarazione di fallimento, consiste in una situazione oggettiva di impotenza economica non transitoria dell’imprenditore stesso, il quale non è più in grado di adempiere regolarmente, alle scadenze pattuite e con mezzi normali alle proprie obbligazioni.
Esso è puntualmente disciplinato dall’art. 5 della Legge Fallimentare (R.D. n. 267 del 16.3.1942), il quale, oltre a prevedere che ad esso consegue la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore, precisa al II comma che “si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”.
2. Come si manifesta l’insolvenza
Come previsto dalla norma sopra citata, lo stato di insolvenza si manifesta con “inadempimenti od altri fatti esteriori”.
Esso, infatti, può rivelarsi non solamente con l’inadempimento, cosa che avviene nella maggior parte delle ipotesi, ma anche attraverso altri fatti esteriori, o con fatti compatibili con l’estinzione delle obbligazioni scadute: deve essere considerato insolvente, ad esempio, anche chi può pagare solo una parte dei suoi creditori oppure può pagare tutti, ma posteriormente alla scadenza delle obbligazioni contratte.
Tra gli inadempimenti di obbligazioni (o di una sola obbligazione, non essendo rilevante la sussistenza di plurimi inadempimenti al fine della sussistenza dello stato di insolvenza), vanno inclusi ad esempio, il mancato (o ritardato) pagamento dei propri fornitori, dei propri dipendenti, dei propri collaboratori, del canone di locazione di un immobile, di un contratto di leasing, dell’I.V.A. o di altre imposte, ecc.
Quanto agli altri fatti esteriori, essi possono essere individuati, a mero titolo esemplificativo, nella fuga, irreperibilità o latitanza dell’imprenditore; nel licenziamento di massa dei dipendenti; nella chiusura di una o più unità locali; nel compimento di reati contro il patrimonio; nell’alienazione del patrimonio o di aziende; nel compimento di atti revocabili ai sensi dell’art. 67 l.f.
3. L’accertamento dell’insolvenza
Lo stato di insolvenza sopra descritto, per assumere rilievo al fine della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore che esercita attività commerciale, deve necessariamente manifestarsi all’esterno, fornendo la prova che l’imprenditore si trovi in una situazione di crisi irreversibile, tale da non consentirgli, in futuro, di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni alle scadenze pattuite.
In presenza dello stato di insolvenza (c.d. presupposto oggettivo), nonché del c.d. presupposto soggettivo (identificato nella qualifica di imprenditore che esercita attività commerciale di colui che versa in tale stato, a norma dell’art. 1 l.f.), l’imprenditore potrà essere dichiarato fallito.
L'imprenditore che si trova in stato di insolvenza, il pubblico ministero o, più frequentemente, i suoi creditori possono rivolgersi al tribunale fallimentare per far dichiarare il fallimento dell’impresa insolvente.
A riguardo, merita essere segnalato che la competenza, ai sensi dell’art. 9 l.f., è del “tribunale del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa”, e che “il trasferimento della sede intervenuto nell’anno antecedente all’esercizio dell’iniziativa per la dichiarazione di fallimento non rileva ai fini della competenza”.
Una volta introdotta la procedura pre fallimentare, il Tribunale adito, onde giungere alla dichiarazione di fallimento dell’impresa, sarà tenuto a verificare, oltre alla propria competenza, la sussistenza delle c.d. soglie di fallibilità, individuate dall’art. 1 l.f., il quale prevede, al II comma, che non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori che esercitano attività commerciale, “i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
- aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
- aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
- avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila”.
Sarà pertanto sufficiente non avere posseduto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento (o dall’inizio dell’attività di impresa se di durata inferiore), anche uno solo dei tre requisiti sopra citati per poter essere dichiarato fallito.
In aggiunta a quanto sopra, si segnala che a norma dell’art. 15, ult. comma, l.f., il Tribunale non potrà giungere a dichiarazione di fallimento “se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria pre fallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila”.
Stefano Terraneo
Fonti normative
Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Legge Fallimentare)
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